L'ENIGMA OPERA D'ARTE


2023

Recensione di Beatrice

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Recensione di Beatrice

Non un’opera d’arte può nell’organizzazione sociale, sottrarsi alla sua appartenenza alla cultura, ma non un’opera d’arte che sia qualcosa di più di un prodotto industriale, esiste senza rivolgere alla cultura il gesto scostante che fa tutt’uno col processo in cui è diventata tale. L’arte è ostile all’arte come gli artisti. Nella rinuncia al fine istintivo, essa gli serba la fedeltà che smaschera il “socialmente desiderato”, esaltato da Freud, ingenuamente, come la sublimazione che probabilmente non esiste.

Nell’ordine deificato del sistema per T.W. Adorno l’arte introduce caos nell’ordine, l’arte diviene la “magia liberata dalla menzogna di essere verità”, importante non è il contenuto piuttosto ciò che le opere d’arte sono riuscite a strappare all’esistenza.

Il Pathos dell’arte è in questo: che essa, proprio ritirandosi nell’immaginazione, dà la sua parte alla strapotenza della realtà, ma non si rassegna all’adattamento, e non prolunga la violenza dell’esterno nella deformazione dell’interno.

Si tratta di considerare il fenomeno artistico come collocato nella società, ma non fuso con essa; in questo consiste la sua forza contestativa. Se l’arte si collocasse in una dimensione asettica, estranea alla società, non verrebbe alla luce la differenza, si affievolirebbe la sua carica critica. Ma, nello stesso tempo, l’arte deve creare una rottura rispetto al reale, per non divenire ideologia, per non ricadere nel suo primario aspetto conservatore: nel suo appartenere alla sfera culturale l’arte infatti rischia di perpetuare la divisione tra lavoro spirituale e lavoro materiale. Le opere d’arte, dunque, resistono alla realtà sociale pur non essendone estranee, non pervengono a conciliazione con il tutto pur utilizzando il “materiale storico del tempo”; solo in questo apparente paradosso l’arte autentica si mantiene in vita.

Inoltre l’arte che si limita a riprodurre la realtà pone il fatto al di sopra di tutto, ne enfatizza il valore e dunque arriva in un certo senso a falsificare la realtà empirica, poiché la assolutizza. Il fenomeno artistico è sintesi mai conciliata, è una unione del diverso senza forzature, la possibilità di trasformare un materiale storico-empirico in qualcosa di totalmente altro, organizzandolo secondo leggi proprie.

Se il concetto è segno, l’immagine è SIMBOLO. Questa è la vera differenza da custodire contro la svalutazione delle immagini “vaghe e imprecise” a favore dei concetti “rigorosi”. Nell’ “imprecisione” dell’immagine si nasconde la potenza del simbolico da cui è escluso il concetto che proprio nella sua precisione è immediatamente sottratto a qualsiasi fluttuazione di significato”

Per Galimberti il discorso della scienza non prevede oscillazioni di senso, l’eccedenza di significazione si ha solo con il linguaggio simbolico, che non cerca l’equivalenza ma l’ambivalenza.

Il SIMBOLO contenendo eccedenza di senso rispetto al senso conosciuto, irrompe nell’ordine dei significati codificati come una domanda

che non si rivolge a, ma attende in quel luogo dove non si rimanda a cose note. Questo luogo, proprio perché non ha avuto luogo tra gli itinerari conosciuti della ragione occidentale, lo possiamo chiamare INCONSCIO, ma questo alla sola condizione di non trovarci, appena dissepolto, le impronte della ragione, ma ciò che la ragione ha tralasciato, perché incompatibile con la sua opera di razionalizzazione.

La forma per Adorno è mediazione delle parti tra loro, parti che riesce ad organizzare in una “sintesi non violenta”, che rende giustizia al particolare e lo conserva senza acquietarne le contraddizioni. La forma si caratterizza quindi in modo diametralmente opposto rispetto ad un assetto sociale che annienta le tensioni, le differenze, i singoli individui, sottomettendo ogni cosa ad una unità deformata. E se la forma converge con la critica, si può dire, nello stesso tempo, che la forma è inscindibile dal contenuto, poiché questo diviene eloquente, parlante solo per mezzo di quella. E’ importante inoltre sottolineare che, come la forma è del tutto oggettiva, pur passando attraverso una mediazione soggettiva, così il vero contenuto dell’opera è tutt’altro rispetto all’intenzione dell’artista; a dimostrazione di ciò il fatto che

…a nessuna intenzione, per quanto pulitamente distillata viene garantito che la creazione artistica la realizzi.

Attraverso una produzione soggettiva si manifesta qualcosa di trans-soggettivo. Il trans-soggettivo, il non fattuale, l’ulteriore che l’opera manifesta mettono in luce l’aspetto spirituale o anche simbolico, inconscio, che erompe dall’aspetto sensibile. Lo spirito è la forza interna dell’opera che la rende altro che “res”, “realità”. Esso si manifesta nell’opera d’arte ma non si esaurisce nella manifestazione, poiché se traspare dalla configurazione sui generis dell’opera, se si mostra in virtù della sua forma può farlo solo in quanto rimanda al di là di quella.

Dunque lo spirito non è afferrabile, non solo dal fruitore o dall’artista, ma anche dall’opera stessa, che dallo spirito viene infatti trascesa. Le opere sono dunque degli enigmi che esigono un impegno critico nel tentativo continuo di trovare la soluzione, ma che non sono mai risolti totalmente e definitivamente. Comprendere l’opera significa risolvere l’enigma e insieme conservarlo. Eliminare totalmente il carattere enigmatico significherebbe annullare la trascendenza dell’opera, la sua spiritualità e quindi la sua autenticità; considerarlo senza soluzione significherebbe privare l’opera del suo senso, che invece esige di essere colto, anche se solo fuggevolmente.

Non è pensabile pervenire a una soluzione certa dell’enigma artistico, così non è possibile entrare in possesso del suo contenuto di verità, e tantomeno darne una definizione unica.

Quanto poco il contenuto di verità coincida con l’idea soggettiva, con l’intenzione dell’artista, lo mostra la più semplice riflessione-

Dunque, il contenuto di verità non è identificabile attraverso un linguaggio discorsivo, a cui l’opera d’arte rinuncia con l’ambiguità del suo carattere enigmatico.

Si offrono quindi diverse prospettive attraverso le quali intendere ciò che nelle opere affiora come verità. Il Vero si presenta, a un primo livello, secondo una prospettiva utopica, in antitesi con la razionalità dominante; esprime cioè la possibilità di realizzazione di ciò che ancora non esiste, ma, insieme alla promessa della possibilità di questo non esistente, sorge anche la domanda sul come sia possibile che a rinviarci a questo sia qualcosa che esiste di fatto.

L’autorità delle opere d’arte risiede in questo: esse costringono a riflettere su quale base mai esse, figure dell’esistente e incapaci di chiamare all’esistenza ciò che non esiste, potrebbero divenirne l’immagine travolgente, se il non esistente non esistesse di per se stesso.

Per Jung l’arte è un’area in cui il mondo soggettivo e quello oggettivo, la sfera del sogno privato e quella della comunicazione con il mondo esterno, si incontrano creando un terzo spazio. E’ in questo luogo che la fantasia INCONSCIA diviene condivisibile. L’arte consente di mettere in contatto con il proprio mondo interno dandogli una forma di rappresentazione, permette di dare spazio all’INCONSCIO senza dimenticare e abolire del tutto la realtà, consentendo quindi anche la comunicazione con il mondo esterno.

L’uomo si è sempre ingegnato a “dar corpo alle ombre” per trasformare in immagini i concetti astratti; simboli e allegorie si sono incaricati di rendere visibili entità immateriali.

Naturalmente è nell’arte che la “verità” del discorso immaginativo si realizza pienamente, nel momento in cui esso crea quell’universo di significato e quella sintesi meravigliosa di particolare e universale che è l’opera. Essa vuole ricomporre in armonia i versanti separati del desiderio, il lecito e l’illecito, l’identico e l’estraneo, il represso e l’ignoto, e in questo senso si è potuta cogliere la sua valenza rivoluzionaria, irriducibile a ogni tentativo di interpretazione restrittiva e unidimensionale. L’arte è la più grande eresia che la storia dell’uomo conosca, il più grande attentato alla repressione e alla svalutazione delle potenzialità inscritte nella natura.

Aldo Carotenuto in questo testo affronta un ampio panorama relativo all’arte fantastica, magica, nonché agli enigmi metafisici di De Chirico e al realismo magico di Magritte, estremamente significativi rispetto al discorso che si viene delineando.

Carotenuto ci fa notare come gli scritti di De Chirico tendano a descrivere l’opera d’arte come rivelazione rispetto alla quale occorra porsi in condizione di attesa, senza frapporre l’intervento della ragione, fino a scorgere una nuova visione del mondo. In tal modo l’opacità della realtà viene tersa dal rimando all’enigma, al mistero che caratterizzano la condizione umana e verso i quali l’artista ci guida. La realtà non va rappresentata né interpretata in quanto si colloca, attraverso l’arte, in un’altra dimensione per trovare un diverso spazio di riflessione.

Con il realismo magico di Magritte, l’immagine ribalta e sconvolge le convenzioni visive, proponendo una realtà ben diversa da quella che si crede di conoscere:

Mi si rimprovera di presentare nei miei quadri oggetti situati in posizioni in cui non li vediamo mai. Si tratta non di meno della realizzazione di un desiderio reale, se non propriamente cosciente, per la maggior parte degli uomini. In effetti già il pittore banale cerca, nei limiti prefissati, di modificare l’ordine in cui vede gli oggetti. Si permetterà timide audacie, vaghe allusioni. In considerazione della mia volontà di far urlare il più possibile gli oggetti più familiari , l’ordine del quale gli oggetti solitamente si collocano doveva essere evidentemente sconvolto: le crepe che noi vediamo nelle nostre case e sul nostro volto, mi sembrano più eloquenti in cielo; le gambe di un tavolo di legno tornito perdevano l’innocente esistenza che si attribuisce loro se apparivano dominare d’improvviso una foresta; un corpo di donna librantesi al di sopra di una città sostituiva gli angeli che non mi apparvero mai; trovavo molto utile vedere al di sotto della Vergine Maria e la mostrai in questa nuova luce; i sonagli di ferro appesi al collo dei nostri mirabili cavalli preferivo credere che spuntassero come piante pericolose al bordo di abissi…Quanto al mistero, all’enigma presentato dai miei quadri, dirò che era questa la prova più convincente della mia rottura con l’insieme delle assurde abitudini mentali che generalmente sostituiscono il sentimento autentico dell’esistenza.

Michel Foucault delinea10 tutte le implicazioni figurative e filosofiche dell’ arte di Magritte rispetto a quella tradizionale. La pittura classica stabiliva infatti il dogma della verosimiglianza rispetto ad una realtà oggettiva di cui l’opera sarebbe imitazione, Magritte libera la pittura dalla dittatura della equivalenza della immagine con la realtà a favore di una interrogazione del mondo che l’arte con la sua ambivalenza riesce a indicare.

Per Foucault “dipingere non è affermare”, e Magritte sembra aver disgiunto la similitudine dalla somiglianza in quanto quest’ultima avrebbe un “padrone” ossia un modello unico ed esterno mentre la similitudine ha un rapporto indefinito e reversibile con il modello dell’immagine rappresentata.

Se per P. Klee “lo scopo dell’arte non è riprodurre il visibile ma renderlo visibile”, Magritte in una lettera a Foucault del 23 maggio 1966 scrive:

“cio che non manca di importanza è il MISTERO evocato di fatto dal visibile e dall’invisibile, e che può essere evocato di diritto dal pensiero che unisce le cose nell’ordine che evoca il mistero”. Aggiunge, inoltre, di aver inviato con la lettera delle riproduzioni di quadri da lui dipinti tra i quali c’era “Questo non è una pipa”, sul retro Magritte aveva scritto:

“Il titolo non contraddice il disegno; afferma in modo diverso”.

Non ho trovato scritti di Magritte relativi al rapporto tra le sue immagini e il Simbolo ma non è difficile riscontrare in questa affermazione come in altre una vicinanza al linguaggio simbolico della sua arte, secondo il quale alcuni significati restano disponibili senza ancorarsi rigidamente ad una cosa, lanciando altresì una serie inesauribile di domande. L’immagine magrittiana frantuma gli schemi logici, obbligando lo spettatore a riflettere su ciò che vede senza la possibilità di trarre una rassicurante e prevedibile visione della realtà.

Essa è un mistero che l’artista cerca di svelare senza riuscirvi mai del tutto: l’intento è quello di produrre un effetto visivo che solleciti quell’illuminazione interiore al fine di donare una sempre nuova visione della realtà.

Il pensiero e le immagini:

La Vita, l’Universo, il Nulla non hanno alcun valore per il pensiero nella pienezza della sua libertà. Per il pensiero il solo Valore è il Senso, ossia il pensiero morale dell’Impossibile. Pensare il Senso significa, per il pensiero, liberarsi delle idee ordinarie o straordinarie.

Nel campo delle arti, il pensiero è privato generalmente di ogni libertà in conseguenza del rispetto delle tradizioni morte e dell’obbedienza e mode ridicole.

L’assurdità e la malvagità del mondo esigono la rivolta del cuore generoso e l’attenzione del pensiero per la giustizia.

I miei quadri sono immagini. La descrizione valida di un’immagine non può essere fatta senza l’orientamento del pensiero verso la sua libertà. Occorre anche essere attenti a un tempo all’immagine e alle parole per descriverla. La descrizione dell’immagine dipinta, divenuta immagine spirituale del pensiero, dev’essere perfettibile indefinitamente. E’ importante, inoltre, diffidare dell’uso inopportuno di certe parole (astratto, concreto, coscienza, inconscio, temperamento, ideale ecc.).

Ritengo valido il tentativo di linguaggio consistente nel dire che i miei quadri sono stati concepiti come segni materiali della libertà di pensiero… Essi mirano, nell’intera “misura del possibile”, a non demeritare nei confronti del Senso, ossia dell’Impossibile.

Poter rispondere alla domanda: “Qual è il senso di queste immagini?” equivarrebbe a far assomigliare il Senso, l’Impossibile, a un’idea possibile. Tentare di rispondere sarebbe l’equivalente di riconoscere un “senso”. Lo spettatore può vedere, con la massima libertà possibile, le mie immagini quali sono, cercando come il loro autore di pensare al Senso, ossia all’Impossibile. -

06-Jun-2023 di Beatrice