VERMIGLIO

Maura Delpero

1h 59m  •  2024

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Recensione di Beatrice On 02-Sep-2024

Con le gambe piegate e strette al petto, e la testa sulle ginocchia, la donna forte e sicura di sé abbraccia la sua fragile bambina interiore.

Inverno 1944.

Ricostruzione minuziosamente realistica della vita del villaggio nell’arco di quattro stagioni.

In un paesino di alta montagna in Trentino, dove la guerra è un orizzonte lontano ma onnipresente, vivono le sorelle Lucia, Ada e Flavia circondate

da una pletora di bambini, da una natura sobria e incontaminata, da tante donne e pochi uomini.

Il tutto attraverso la figura del padre, il maestro del luogo, di bambini e adulti e delle tre sorelle, una infatuata del soldato, l’altra della possibile autonomia concessa ad una creatura di sesso femminile, la terza accompagnata dal talento allo studio. La madre, che difende il figlio Nino, continuamente vessato dal marito, è una macchina per fare figli, tutti quelli che vengono. Due soldati arrivano sul luogo scatenando appetiti sessuali: mentre Lucia li pratica Ada ricorre allo spazio autoerotico tra l’armadio e la parete, infliggendosi pene autolesionistiche come ingerire cacca di gallina per redimersi dalla colpa.

Tutto accompagnato dalla scuola, dalle poesie, dalla musica di Chopin e di Vivaldi.

Cattolicesimo e peccato distribuito ovunque mentre gli uomini sono al fronte e le donne cercano di sopravvivere tra una prole vivace e curiosa.

Lucia rimasta incinta sposa il soldato siciliano il quale dopo essere partito per incontrare la madre non fa più ritorno.

Un viaggio quello di Lucia nella passione, nell’amore, nella depressione e nel parto con una figlia, Antonia, che dovrà imparare ad amare nonostante tutto.

La Delpero riesce a declinare tutte le sfaccettature del femminile.

Parte dal corpo e dalle sue pulsioni per arrivare al corpo come sviluppo, incastro, contenitore, trappola, gabbia culturale.

Parte dalla psiche per annoverare le compressioni, le rimozioni e le remote eventuali emancipazioni.

La poligamia e l’omicidio, il viaggio e il destino, fanno di queste donne e del loro percorso scritto dalla religione, dalla cultura e dal corpo un’occasione di rinuncia, di riscatto e forse anche di emancipazione.

Un film tragicamente poetico, un incantesimo dello sguardo, un’opera d’arte ricercatissima, rara, preziosa.

L’abilità di chi riesce a dipingere un affresco inquieto e sfaccettato di una realtà, quella femminile, ancora da scoprire e indagare come fosse la prima volta: il mistero irrisolvibile e impronunciabile di un mondo ignoto e indecifrabile.

Le donne devono sempre ricordarsi chi sono, e di cosa sono capaci. Non devono temere di attraversare gli sterminati campi dell’irrazionalità e neanche di rimanere sospese sulle stelle, di notte, appoggiate al balcone del cielo. Non devono avere paura del buio che inabissa le cose, perché quel buio libera una moltitudine di tesori. Quel buio che loro, libere, scarmigliate e fiere, conoscono come nessun uomo saprà mai.

02-Sep-2024 di Beatrice


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2019