
Recensione di Fabian On 23-Oct-2023
Onde sonore placidamente disturbanti.
Nero
Voci distorte
Cinguettio di uccelli mentre la musica incombe inquieta.
Paesaggio idilliaco stile Le déjeuner sur l’herbe di Manet; a bordo fiume si fa un picnic.
Si raccolgono frutti di bosco, si fa il bagno.
All’imbrunire si rientra a casa, si spengono le luci.
Letti separati: Rudolf e Hedwig sono due coniugi con numerosa prole, vivono in una casa borghese, con giardino, una magnifica serra e una piscina con scivolo.
Tutto normale se non fosse che Hedwig è la moglie di Rudolf Höss, comandante della direzione di Auschwitz, la cui abitazione è perfettamente confinante con il muro che divide il giardino dal campo di concentramento, tanto per essere comodo a raggiungere il posto di lavoro, avere sempre tutto sotto controllo e soprattutto ricevere vestiti, gioielli, trucchi, pellicce, diamanti nascosti nel dentifricio, perché gli ebrei sono molto ingegnosi!
Festa di compleanno, Rudolf riceve una splendida canoa, uno dei figli indossa la divisa con svastica.
Riunioni su riunioni per stabilire quale abilità ingegneristica riuscirà a ottimizzare la realizzazione dell’obiettivo del campo; un processo antiorario sembra rispondere al meglio alla routine delle camere a gas.
Intanto i bambini in casa giocano con i denti d’oro prelevati agli ebrei, mentre il padre fuma il sigaro e spegne, tutte le sere, ossessivamente tutte le luci e chiude tutte le porte a chiave.
In camera da letto, la moglie gli chiede quando la porterà di nuovo nella Spa italiana e lui le risponde di gradire il nuovo profumo francese che indossa.
Lei, soprannominata dal marito la regina di Auschwitz, si aggira fiera nel giardino; la madre è andata a trovarla e le mostra i fiori, l’orto biologico e il miele prodotto da quel “paradiso” tutto progettato da lei.
Quando il marito le comunica il trasferimento lei non vuole lasciare quel luogo, uno spazio vitale lo definisce e la vita di cui godono varrà il sacrificio di stare lontani.
Rosso, musica assordante.
Il crematorio ad anello sembra la soluzione e occorre depositare il progetto; intanto Rudolf parla al telefono e una ragazza entra e inizia a spogliarsi: d’altronde la moglie è lontana.
Favole, sogni, immaginazione… resistenza.
Grida, lamenti, promozioni, obiettivi di produzione, salariali e premi; qualcuno si preoccupa che Rudolf non faccia finire tutti in fumo, si avrà pur bisogno di lavoratori!
Feste sontuose con ghiaccio a forma di svastica, lusso, musica, concerti di beneficienza.
Il museo, le scale, l’oscurità.
Buio totale, musica, onde sonore di grida e frastuono dissonante.
Liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Martin Amis del 2014, girato interamente in Polonia, il film propone una Shoah divenuta irrappresentabile, o per eccesso di rappresentazione o perché l’unico modo contemporaneo per continuare a renderne memoria è girare intorno all’accaduto facendo immaginare tutto senza mostrare nulla.
E’ evidente che il film dà per scontato si conosca già tutto e si sia visto, letto, studiato molto in merito: l’estremo pudore delle immagini lo rende pertanto implacabilmente spudorato.
Se Auschwitz è diventata una sorta di circuito turistico, commerciale, spesso affollato e vagamente irriverente, come riuscire ancora a sottolinearne l’orrore e la crudeltà dello sterminio?
Infatti non si vede nulla, si sente qualcosa, grida, lamenti; si vedono tanti oggetti, abiti, gioielli e c’è sempre qualcuno pronto a pulire gli stivali di Rudolf non appena entra in casa.
C’è fumo che esce lì intorno e la contemporaneità del messaggio sta proprio nella assenza assordante dell’immagine dei corpi quando tutto il rimanente è inevitabilmente e violentemente inconcepibile.
Non vuole essere memoria ma ritratto di un presente, assente, cieco, assorto, vigliacco, innocente e tuttavia colpevole, di una testimonianza invisibile agli occhi rivolti altrove.
Glazer, solo nelle pause monocolore imbrattate di musica assordante riesce a indicare lo sguardo verso l’invisibile: forse solo là dove non si vede nulla è di nuovo possibile un nuovo sguardo?
Solo una dialettica negativa di Adorniana memoria, disturbante e non conciliante, sferra un pugno all’agnosticismo morale.
Solo là dove non è possibile affermare si annulla la possibilità della negazione.
La musica, soprattutto dissonante, perché “è intrinsecamente utopica, in quanto non compromessa con l’immagine” sosteneva Ernst Bloch.
Qui non c’è compromissione con l’immagine commerciale della violenza, non c’è compromesso possibile.
Se quella era la normalità dell’orrore ora occorre sostare sull’orrore della normalità: il muro forse non c’è più, non c’è più la demarcazione, il confine, la linea che divide il male dal peggio.
Si diceva che dopo Auschwitz, le categorie filosofico-teologiche utilizzate fino a quel momento non fossero più valide.
Se oggi la Shoah è divenuta inenarrabile, come la si può raccontare? E se dopo Auschwitz ogni forma d’arte sembra essere solo espressione di barbarie, come si può tentare di fare arte dopo Auschwitz e su Auschwitz? Infine, come possono gli artisti affrontare un tema del genere, dal momento che stanno per mancare i testimoni diretti? come sostiene Wlodek Goldkorn.
Difficile rendere uno sterminio oggetto di rappresentazione senza commercializzare l’orrore secondo dinamiche di profitto tipiche del nostro sistema.
Se Glazer ha inteso agire in modo altro, riuscendoci peraltro, il suo non può non essere un film/metafora del nostro mondo laddove tutto ciò che è visibile passa inosservato: forse il suo lavoro segue un progetto concettuale, se lo sguardo è addomesticato restituiamo all’invisibile una sua ontologica significanza.
Il pudore delle non immagini qui dimostra che l’esserci dell’invisibile è più incisivo del visibile abominio.
Sembra altresì facile pensare che il muro di Glazer sia il confine che demarca la zona del dolore da quella dell’indifferenza, plausibile invece che quel muro sia ormai invisibile difronte all’industria della morte, alla logica della produzione e del dominio, al totalitarismo dell’industria culturale ormai divenuta tecnica.
Un film che demarca una sconfinata zona di interesse qualunque sia il modo con la quale osservarla depotenziati tuttavia dall’addomesticamento dello sguardo del patologico godimento voyeuristico contemporaneo: la discesa nell’oscurità sembra inevitabile.
D’altronde:
il buio raggiunge luoghi inaccessibili alla luce
23-Oct-2023 di Fabian