THE SETTLEMENT AL MOSTA'MERA

Mohamed Rashad

1h 34m  •  2025

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Recensione di Beatrice On 18-Feb-2025

L'uomo è l'unico animale la cui esistenza è un problema che deve risolvere.

Nel cuore pulsante di un non-luogo ai margini dell’esistenza, Al Nag’ si erge come una distesa di precarietà e sopravvivenza, incastrata tra l'inesorabile ciclo della produzione e il devastante marchio dell’estrazione capitalistica. Questo angolo dimenticato di Alessandria, nel quartiere-spettro di Al Wardiyan, non è solo uno spazio fisico, ma un simbolo dell’oppressione sistemica che scandisce il destino di coloro che lo abitano. Qui, tra i vapori tossici di una raffineria e il frastuono incessante di una fabbrica di imballaggi, si muovono due fratelli, Hossam e Maro, condannati a una vita segnata dalla rinuncia prima ancora di poter scegliere.

Hossam ha ventitré anni, Maro ne ha dodici, età in cui la speranza non dovrebbe ancora essere corrotta dal disincanto. La morte del padre, Said, avvenuta tra gli ingranaggi dello sfruttamento industriale, è l’evento che sigilla il loro destino. Il direttore della fabbrica, Karim, offre alla famiglia una transazione per colmare il vuoto della perdita: un impiego per i due giovani in cambio della rinuncia ai loro diritti. Un baratto che esemplifica la logica del potere: la giustizia sostituita dalla convenienza, il dolore ridotto a merce di scambio. Hossam, con la consapevolezza della propria irrilevanza economica, accetta il patto, soffocando l’orgoglio sotto il peso della responsabilità familiare.

Un mese dopo, i fratelli varcano le soglie della fabbrica situata in un luogo emblematicamente chiamato "The Settlement", un insediamento che più che una promessa di stabilità è il teatro di un eterno conflitto. Qui, il passato ritorna nei panni di Mustafa, l'uomo sospettato di essere la causa della morte di Said. In questo microcosmo, ogni gesto è una strategia di sopravvivenza, ogni sguardo un atto di sorveglianza. Gli operai attendono con sospetto l’ingresso di Hossam, prevedendo l’inevitabile scontro tra la necessità di andare avanti e il desiderio di vendetta. Ma non è solo la comunità lavorativa a esigere una reazione: anche Maro, con l’ingenuità feroce dell’infanzia, attende che il fratello risponda alla chiamata del sangue, cercando nel conflitto una chiave di lettura per il mondo che lo circonda.

Come dichiarato dal regista, l’attrazione per gli spazi industriali non è solo estetica: essi incarnano il cuore pulsante di una società che si regge sull'invisibilità dei suoi ingranaggi umani. Il cinema egiziano ha raramente esplorato questi luoghi, eppure essi sono specchi impietosi della nostra realtà sociale. Sono arene in cui il dramma della sopravvivenza si consuma quotidianamente, teatri in cui si inscenano le contraddizioni di una società che promette emancipazione ma offre sfruttamento.

L’idea del film nasce da un incontro con un giovane gli ha raccontato della morte del padre, un operaio edile, e della sua assunzione nello stesso cantiere che lo aveva ucciso. In questa storia si condensa la brutalità del compromesso sociale: l'accettazione del dolore come prezzo dell'esistenza. Da questo un interrogativo sul destino imposto, sul legame padre-figlio, sul ciclo delle ingiustizie che si ripetono.

Durante la realizzazione del film, si è cercato di restituire un'immagine autentica di questa realtà scegliendo luoghi aspri, segnati dalla fatica e dalla rassegnazione, ma al contempo intrisi di una tragica bellezza. Il casting ha seguito la stessa logica: volti scavati dal tempo e dalla lotta, capaci di trasmettere rabbia e amore, speranza e disillusione. La commistione di attori professionisti e veri operai ha contribuito a radicare il racconto in un realismo che sfida la finzione.

Questo film è un’indagine sulla condizione umana, sulla perpetuazione della marginalità, sulla dialettica tra il dominio e la resistenza. In un mondo dove la legalità è un privilegio e la giustizia un miraggio, i confini tra vittima e carnefice si dissolvono. Maro, osservatore silenzioso di questo teatro della sopraffazione, tenta di decifrare il meccanismo sociale, cercando di costruire un proprio senso del mondo. Ma in un sistema che normalizza l’oppressione, la coscienza critica è un lusso che pochi possono permettersi.

Neorealismo egiziano, illegalità, diffidenza e compromesso: questo è il palcoscenico in cui si muovono i nostri personaggi, intrappolati in una narrazione che sembra scritta da forze a loro estranee. Ma il cinema, nel suo potere sovversivo, può dare loro voce, può trasformare la testimonianza in resistenza, l’immagine in atto politico.

Viviamo in un’epoca in cui il contatto con le cose è diventato più raro del contatto con le immagini delle cose.

18-Feb-2025 di Beatrice