
Recensione di Beatrice On 17-Feb-2025
La solitudine può essere una tremenda condanna o una meravigliosa conquista.
Coline Morel, esploratrice fuori dagli schemi e amante del Grande Nord, ritorna improvvisamente nel suo villaggio natale, tra le montagne del Giura, dopo anni di assenza. Qui, in un contesto che ormai le appare estraneo, cerca di riallacciare i legami con i fratelli Basile e Lolo e con Christophe, il suo primo amore. Tuttavia, il suo arrivo scatena una serie di eventi surreali: la sua personalità eccentrica e il suo stato mentale instabile la rendono un elemento di disturbo nella comunità, tanto che le sue azioni, tra il comico e il tragico, finiscono per destabilizzare chiunque le stia accanto.
Mentre cerca di ritrovare un senso al suo presente, Coline si chiude sempre più in un silenzio enigmatico. Il suo obiettivo è scrivere un trattato sulla fine del mondo e sul collasso dell’ecosistema, un’opera che diventa metafora della propria dissoluzione interiore. Infine, scompare senza lasciare traccia, per essere ritrovata in Groenlandia, priva di sensi e data per morta. Ma Coline si risveglia e, consapevole della sua condizione ormai irreversibile, sceglie di compiere il suo ultimo viaggio tra i ghiacciai, abbracciando la propria fine come un atto di estrema libertà.
L'Incredibile Donna di Neve non è solo il ritratto di una donna fuori dagli schemi, ma un trattato visivo sulla fragilità dell'esistenza, sulla solitudine radicale e sull’impossibilità di appartenere a un luogo, a una comunità, persino a sé stessi. Coline Morel, protagonista errante e dissonante, si muove tra il Giura e la Groenlandia, ma il suo viaggio non è geografico: è una esplorazione interiore, un ritorno alle radici che si rivela essere un commiato.
Coline è il sintomo di un tempo in disgregazione: il suo desiderio di scrivere sulla fine del mondo si sovrappone alla propria decomposizione psichica e fisica, rendendola non solo osservatrice, ma corpo stesso di un’agonia planetaria. Il suo smarrimento nei rapporti umani – l'amore che non si ricostruisce, il fratello che la guarda con apprensione, la comunità che la rifiuta – è la traduzione microcosmica della rottura tra l’uomo e la natura.
La sua lezione sull'ecosistema a una classe di bambini troppo piccoli per comprenderla si trasforma in una grottesca parabola dell’incomunicabilità: il sapere, l’esperienza, l’angoscia, tutto diventa incomprensibile per chi non è pronto, per chi non ha vissuto la frattura. Questo momento è una delle tante scene in cui il film si fa ironico e tragico insieme, portando avanti una poetica dell’assurdo che ricorda il teatro di Beckett: il mondo non è pronto per chi vede oltre, e chi vede oltre è condannato a un esilio perenne.
Nel secondo atto, la Groenlandia non è più solo un luogo fisico, ma una dimensione liminale, il regno del bianco assoluto dove Coline si dissolve. Qui, la sua volontà di morire diventa quasi un rituale sciamanico, un passaggio che rievoca i miti dell’abbandono volontario alla natura come ultimo atto di riconciliazione con l’universo. La scena del funerale interrotto, dove la morte stessa si confonde con la vita, è il simbolo supremo di una protagonista che non trova mai un confine definitivo tra l’essere e il non essere.
Il regista costruisce un film che rifiuta le strutture tradizionali del racconto per abbracciare il flusso disordinato della coscienza di Coline. La sua regia oscilla tra l’iperrealismo e il grottesco, tra l’intimità e l’epica, creando un’opera che ricorda le narrazioni esistenziali di Herzog e il crudo umorismo del cinema di Kaurismäki. Blanche Gardin incarna questa precarietà con una performance che sfida ogni codice: non cerca la simpatia dello spettatore, non vuole essere capita, si lascia semplicemente attraversare dal film come un corpo estraneo, un oggetto impossibile da classificare.
Alla fine, l’ultima immagine di Coline che si incammina da sola nel nulla bianco diventa un manifesto dell’erranza contemporanea: la fuga come unica forma di libertà, il silenzio come unica verità possibile. Non è più solo la storia di una donna, ma il resoconto di un’umanità alla deriva, incapace di trovare una casa, destinata a scomparire nel vento gelido di un mondo che non le appartiene più.
La solitudine è indipendenza: l'avevo desiderata e me l'ero conquistata in tanti anni. Era fredda, questo sì, ma era anche silenziosa, meravigliosamente silenziosa e grande come lo spazio freddo e silente nel quale girano gli astri.
17-Feb-2025 di Beatrice