THE GIRL WITH THE NEEDLE PIGEN MED NÅLEN

Magnus Von Horn

2h 3m  •  2024

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Recensione di Beatrice On 18-Jan-2025

Il male è logico, come la follia: è una risposta alla realtà, ma non è mai la risposta giusta.

Bianco e nero, cupo.

Volti deformati, mostruosi: sembrano ritratti di Francis Bacon. Musica disturbante.

Karoline non paga la stanza da 14 settimane e deve lasciarla perché il proprietario non gli fa più credito. Il marito è scomparso da un anno, non risponde alle sue lettere.

Siamo a Copenhagen sul finire della Prima Guerra Mondiale; lavora in una fabbrica, dove tante donne cuciono divise da guerra. Il padrone sembra prendersi a cuore il suo problema e anche il suo corpo, la ragazza rimane incinta.

Nel frattempo il marito torna: indossa una maschera, è rimasto sfigurato e non ha il coraggio di fare vedere le sue sembianze mostruose, lei lo accoglie ma poi lo caccia confessando che attende un bambino da un altro uomo.

Il padre del bambino, ricchissimo padrone, mite e passivo, vorrebbe anche sposarla ma sua madre lo sottopone ad una scelta, può farlo rinunciando alla casa e ai soldi. Pertanto Karoline perde anche il posto di lavoro.

Ai bagni pubblici incontra una signora, Dagmar:

costei vede il ferro che la giovane donna sta inserendo nel suo utero e le suggerisce di rivolgersi a lei una volta nato il bambino. Nascerà una bambina e così farà, ma dovendo pagare perché la donna trovi una famiglia per sua figlia, concede la propria forza lavoro: occuparsi e allattare i neonati prima che vengano adottati, vivendo insieme alla droghiera Dagmar che a sua volta ha una figlia, Erena.

La convivenza sembra funzionare fino a che Karoline scoprirà il segreto che regna in quella casa.

A tutte le donne che le consegnano i bambini Dagmar ripete sempre la stessa frase: “Hai fatto la cosa giusta…presto starai meglio”.

L’atrocità che si svela nel percorso esistenziale di Karoline, sembra insopportabile, incomprensibile, insostenibile. Dagmar non sopporta l’attaccamento della ragazza ai bambini, pretendendo tuttavia che allatti la figlia, ormai grande, e Karoline non riesce a mortificare la sua disposizione alla maternità che tuttavia non si è potuta permettere. D’altronde Dagmar gli aveva promesso che i bambini sarebbero andati a “gente che può permettersi di fare del bene” come medici e avvocati… e intanto arriva un bambino affetto da cheiloschisi che non vorrà mai nessuno.

Basato su una storia tragica e ineluttabile, quella di Dagmar Johanne Amalie Overbye, che tra il 1913 e il 1920 ha spezzato la vita molti bambini, prima di essere condannata a morte e soccombere dietro le sbarre all’età di 42 anni, l’opera di Magnus von Horn si staglia come una riflessione cupa sulle atrocità della condizione umana e sugli abissi che la maternità può nascondere. Un teatro di solitudine e vulnerabilità femminile, dove la nascita di una nuova vita diventa il presagio di un’agonia esistenziale interiore e sociale. Il mondo che von Horn disegna è quello di una crudeltà pervasiva, dove il male non è altro che una delle tante manifestazioni di una società feroce che non lascia spazio alla pietà. La scelta del regista danese di includere un circo di deformità e stranezze non è casuale: essa si fa metafora di una realtà disperata, di una condizione senza via di fuga. Qui, come in un lamento eterno, il mondo si mostra per quello che è: un luogo orribile, ma dove è necessario credere che possa essere diverso, per quanto illusorio.

La prima sequenza, visivamente contorta e allucinata, che mostra i volti e le anime dei protagonisti, si rivela essere una porta d’ingresso per comprendere la sostanza di The Girl with the Needle. È un film sulle mostruosità umane troppo umane, un viaggio dentro la sofferenza, nella quale la sopravvivenza è una condizione di perenne martirio, schiacciata nei bassifondi di un’esistenza negata.

In un bianco e nero che non è mai puro, il film appare come un vortice che centrifuga i personaggi e le loro storie, costringendo lo spettatore a confrontarsi con le ombre, con le forze che attraversano le loro vite. In questo spazio senza pace, i confini tra il bene e il male si dissolvono, si annullano, si scambiano, come se fossero parte di un disegno più grande, di un caos che non conosce giustizia.

Questo è un film sull’invisibile, su ciò che non si riesce a vedere e su ciò che non si può dire.

Un orizzonte che definire opaco sembra superficiale: Dagmar incarna il mondo orribile che lei tende a descrivere nonostante debba ricorrere all’etere per anestetizzare la commozione e la solitudine.

Una donna che ha una sua visione del mondo: la maternità la accompagna da sempre in modo conflittuale, ostile, e la vocazione che si riconosce incarna una scelta, chissà quanto consapevole, una missione, della quale si sente portatrice per le altre madri che non possono per questioni economiche, sociali, culturali, tenere un figlio.

Una sofferenza così acuta da non poter essere lenita da alcun mezzo, nemmeno dai più miseri potenti narcotici.

Il film esplora la deformità dell’esistenza passata e presente: un’opera che, pur sembrando esagerata, strabordante, eccessiva, come molti hanno cercato di insinuare, evita ogni forma di compiacimento, mettendo in scena la deformità dei corpi e delle menti in una spirale che li trasfigura, li contorce, li rende irrimediabilmente spaventosi. I volti si sovrappongono, si deformano, svelando il terrore che li abita come in una pinacoteca che rappresenta esuli, emarginati, abbandonati, accompagnati dalla musica sperimentale di Puce Mary Frederikke Hoffmeier.

The Girl with the Needle è un film di perdite, di illusioni distrutte, dove l'unica via di redenzione sembra essere un atto d'amore inaspettato, una scintilla di speranza che infrange la catena di sofferenze e fa intravedere, solo per un istante, finale, una luce nell’oscurità.

La vicenda di Dagmar Overbye non è che l’inizio di un percorso più ampia: un episodio paradigmatico da cui si diramano riflessioni più profonde sulla condizione femminile, sulla maternità, sul senso di colpa, sulla cecità sociale. La figura di questa donna, intrinsecamente legata al Male, ci appare però come quella di una creatura convinta di agire per il Bene, seppur attraverso logiche distorte e perverse. È carnefice e vittima di una realtà elitaria che esclude chi non conta, perché non ha diritti se non quelli di esercitare nella clandestinità gli orrori eteroprodotti.

E von Horn, pur non giudicandola, non si fa mai spettatore complice della sua discesa nella follia. Sembra volerla comprendere, cercando una causa nei suoi ragionamenti disumani, che trovano una logica tutta loro.

La logica del male è la logica della paura. E la paura è sempre razionale in chi la prova, anche se irrazionale in chi la osserva.

18-Jan-2025 di Beatrice