
Recensione di Beatrice On 02-Sep-2024
Aspettative promettenti, primi 5 minuti sublimi: claustrofobici come Il figlio di Saul di László Nemes…con la statua della libertà in orizzontale che rivela già tutto.
Si racconta la storia fantastica di László Toth, architetto ebreo ungherese sopravvissuto ad Auschwitz, dipendente dall’oppio. Vive i primi anni in povertà, accolto inizialmente da un fabbricante di mobili, incontra un cliente che gli propone un progetto per il padre. Inserito nell’ambiente facoltoso di questa famiglia riuscirà a farsi raggiungere dalla moglie sulla sedia a rotelle accompagnata da una giovane donna pressoché afasica.
Il facoltoso cliente, circondato da politici, finanziatori, giuristi di Philadelphia gli propone il progetto della vita, la realizzazione di uno spazio avveniristico, aprendolo alla possibilità che l’american dream si realizzi.
Poco incline ai compromessi tuttavia László accetta e inizia a lavorare: tra interruzioni, viaggi in Italia per scegliere il marmo di Carrara, fallimenti del progetto, alti e bassi.
Terzo film di Corbet, per la terza volta a Venezia dopo aver vinto la miglior regia di Orizzonti col suo esordio. Girato in pellicola 70mm, racconta 30 anni della vita questo architetto geniale e visionario.
Un intervallo di 15 minuti inseriti nei 215 di proiezione, sembrano il vero atto di hybris del regista che slatentizza la necessità di sorprendere: una conferma anche con questo film, questa volta all’ennesima potenza, della strutturale ossessione narcisistica che lo identifica.
Il finale, anche qui, brutale come brutalista è l’architettura che accompagna il film.
Un percorso erudito, colto, intriso di arte, musica straordinaria, che fagocita sé stesso attraverso l’inarrestabile presenza invadente e onnipresente del regista sempre perseguitato dalla propria egoica autorappresentazione: la necessità atavica e strutturale di una personalità che deve essere sempre al centro dell’attenzione, dello schermo in questo caso, per celebrare e onorare la propria straordinarietà.
Difficile non vederlo annegare nello specchio riflettente dell’immagine mentre adopera qualunque sortilegio tecnico, peraltro eccellente, per incantare, manipolare, sorprendere lo spettatore.
Una trappola ben strutturata tuttavia non sofisticata che non resiste a impressionare senza tuttavia emozionare.
Il sensazionale è la ricerca spasmodica del regista statunitense, che non resiste al colpo di scena.
E se la statua della libertà è orizzontale perché il sogno americano è semplicemente un raggiro, una frode, un incantesimo per gli ingenui, il brutalista è proprio lui, Brady Corbet, con le sue sbalorditive, sconvolgenti elaborazioni cinematografiche, altrettanto ingannevoli, truffaldine e turlupinanti.
Sensazionale!
02-Sep-2024 di Beatrice