
Recensione di Beatrice On 18-Feb-2025
Il dramma dell’adolescenza è credere che la propria idiozia sia geniale e che l’esperienza degli altri sia superflua.
Il film si apre con Pierre de Ronsard e la sua ode a Cassandra, evocando fin da subito il tema della seduzione—nel suo senso etimologico di "portare a sé"—e della fascinazione ambigua che il linguaggio e i rapporti umani possono esercitare. Un’introduzione colta e simbolicamente densa che prelude alla spiegazione dell’asteismo, l’arte dell’ironia elegante, e che diventa chiave di lettura per comprendere il gioco di percezioni e malintesi al centro della vicenda.
La scuola, luogo che un tempo si voleva santuario della conoscenza e della crescita, si è trasformata in un’arena dove il potere del linguaggio e delle percezioni sovrasta la verità, dove la fragilità dell’insegnamento si scontra con la ferocia della società. "Silenzio!", il film di Teddy Lussi-Modeste, ci porta nel cuore pulsante di questo paradosso, mostrando la solitudine dell’insegnante di oggi, stretto tra il peso delle responsabilità pedagogiche e l’inquietante facilità con cui può essere travolto da dinamiche incontrollabili.
Julien, giovane professore di lettere, è il simbolo di questa vulnerabilità. Egli incarna l’idea – oggi quasi romantica – dell’educatore che vuole instaurare un legame autentico con i suoi studenti. Ma il sistema scolastico non perdona l’ingenuità.
L’adolescenza è l’età dell’onnipotenza e dell’idiozia, in cui ci si sente invincibili ma si finisce per inciampare nei propri stessi piedi.
Una lettera, un’accusa ingiusta, e l’equilibrio si spezza. Non c’è spazio per il dubbio, non c’è tempo per la riflessione: il verdetto è immediato e la macchina del sospetto divora ogni certezza. Il liceo, anziché essere un luogo di crescita, si rivela un microcosmo dove il giudizio si costruisce per frammenti di realtà, spesso decontestualizzati e manipolabili.
Vittima della propria spontaneità, il protagonista sottovaluta il peso che alcuni gesti, apparentemente innocui, possono assumere quando filtrati attraverso l’ottica della diffidenza e della strumentalizzazione. È in questa faglia, tra intenzione e interpretazione, che si insinua il dramma: il sistema scolastico, lungi dall’essere un rifugio di dialogo e crescita, si trasforma in un’arena in cui il linguaggio del sospetto prevale su quello della fiducia, e l’istituzione abdica al proprio ruolo di garante per trincerarsi dietro silenzi e protocolli.
La vera tragedia del film non risiede solo nell’ingiusta accusa, ma nella reazione dell’istituzione: la scuola non difende, non ascolta, non tutela. Il silenzio che domina la narrazione non è soltanto quello imposto dal sistema, ma è il sintomo di una malattia più profonda: la rinuncia alla responsabilità, la paura del coinvolgimento, la perdita di ogni tensione etica. Gli insegnanti, non tutti, appaiono codardi o opportunisti, preoccupati più della propria carriera che della trasmissione del sapere, mentre l’amministrazione si rifugia nella burocrazia e nelle regole, incapace di sostenere chi dovrebbe proteggere.
Nella scuola contemporanea, il rapporto educativo si trova così in una crisi strutturale. L’insegnante è esposto, fragile, sacrificabile. Il suo ruolo non è più quello del maestro che accompagna gli studenti nel percorso della conoscenza, ma di un funzionario che deve navigare tra i rischi di una società feroce e ipercontrollata, dove la diffidenza ha sostituito la fiducia e la trasmissione del sapere si scontra con la paura dell’equivoco. In un mondo in cui il linguaggio ha perso la sua profondità per diventare uno strumento di potere, l’educazione diventa un campo minato.
Lussi-Modeste non cerca colpevoli semplici, perché il vero nemico è invisibile e diffuso: è la miseria culturale, l’assenza di dialogo, la paura dell’altro. La scuola riflette fedelmente una società frammentata, in cui la comunicazione è ridotta a slogan e reazioni impulsive. La meritocrazia appare sempre più un’illusione, e l’istruzione, che dovrebbe essere il motore della mobilità sociale, si piega alle logiche della diffidenza e dell’omologazione.
Ma "Silenzio!" non è solo un atto d’accusa: è anche un grido di resistenza. L’educazione può rimanere un atto di coraggio, un gesto, una replica dissidente ad una realtà che sembra voler soffocare ogni slancio ideale. Julien, con tutte le sue imperfezioni, incarna ancora l’insegnante che crede nel potere della conoscenza, nella capacità della scuola di formare dei cittadini, di essere un luogo di crescita e non di condanna. Occorre una nuova consapevolezza per salvare la scuola, bisogna restituirle la sua funzione più autentica, quella di un luogo in cui il sapere si costruisce nella complessità, e non si riduce a un campo di battaglia tra cinismo e paura.
La scuola tuttavia rimane un microcosmo in cui convergono tensioni sociali e fragilità strutturali. Il linguaggio feroce e i comportamenti imprevedibili degli studenti, sempre in bilico tra ribellione e richiesta di riconoscimento; la codardia di molti docenti, prigionieri di una logica burocratica che privilegia il conformismo e la ricerca di punteggi di carriera a scapito di una reale etica della formazione. In questo contesto, l’insegnante non è più solo un mediatore del sapere, ma una figura esposta, vulnerabile, costantemente in bilico tra il desiderio di incidere sul destino dei suoi allievi e il rischio di essere fagocitato da un sistema che non offre protezione né riconoscimento e l’amministrazione si rifugia nella burocrazia e nelle regole, incapace di sostenere chi dovrebbe proteggere.
Il film restituisce un ritratto della scuola contemporanea con uno sguardo disincantato e spietato, in cui l’ingenuità si scontra con il cinismo, la passione con il narcisismo, la vocazione pedagogica con il calcolo opportunistico. L’istituzione, lungi dall’essere un baluardo di emancipazione e crescita, appare come un luogo in cui l’indifferenza e la deresponsabilizzazione regnano sovrane, mentre gli adolescenti, imprigionati in una maschera di disincanto e falsa invulnerabilità, si muovono tra la fragilità e l’impulsività, inconsapevoli della portata delle proprie azioni. In questa impasse, Julien diventa l’emblema di una professione sempre più esposta, in cui il desiderio di trasmettere conoscenza e valori si scontra con un mondo che pare aver smarrito il senso stesso della trasmissione.
L’adolescenza è l’età in cui si scopre che la chiave della vita non apre nessuna porta.
La scuola è il riflesso della società: se le istituzioni la trascurano e i genitori la delegittimano, il futuro si scrive con errori indelebili.
18-Feb-2025 di Beatrice