
Recensione di Beatrice On 27-Jun-2023
La fotografia rappresenta un certificato di morte ma, nello stesso tempo, una promessa di resurrezione; è un documento impassibile, ma, nello stesso tempo, una fontana di lacrime esistenziali. Più ancora: obbedisce al tempo e lo fulmina; sanziona una perdita e vi sostituisce un simulacro immortale…
LENE MARIE FOSSEN si nutre, respira, vive, realizza le sue foto scolpendo il suo corpo.
A 12 anni circa ha deciso di non voler crescere e ha iniziato ad imporsi una disciplina ferrea che le impedisse di assumere sembianze banali.
Tutto doveva iscriversi sull’altare del sacrificio nonostante la sua immagine ostentasse con orgoglio la sua voglia di vivere.
Si sentiva come un edificio in fiamme Lene Marie, e mentre una mano tentava di uscire l’altra si aggrappava alla malattia.
Quella malattia voluta, perseguita, ricercata, esposta, immortalata ad arte, per non voler morire nonostante la sua esile e ingombrante presenza.
Rimanere bambina, fermare il tempo per produrre quella inquietante bellezza che solo una vita di dolore, il suo e quello dei rifugiati e degli anziani che amava ritrarre.
L’arte come dovere e l’impossibilità di guarire per il timore che una diversa condizione influenzasse e sottraesse l’ispirazione.
Lene Marie descrive la parte più brutale della malattia nella impossibilità di far comprendere che non può essere il mangiare la soluzione: vuole essere un’artista e non una malata.
Fare di sé un’opera d’arte, usare se stessa come un progetto per comunicare: le sue sublimi e laceranti fotografie non sono sull’anoressia ma sul dolore umano, quel dolore umano rappresentato dalle case diroccate che hanno tuttavia bisogno di una presenza, la sua.
Il dolore della sua immagine ha consentito lo spazio della comunicazione con i rifugiati: fotografare è un incontro di umanità. Quando la vita nasce deve essere amata perché esiste e anche se il dolore può diventare più forte come quello di Lene Marie, lei sa bene che ogni essere umano anche se malvagio vuole essere felice e che la vita è un dono bellissimo sebbene non siamo capaci di viverla e di diventare ciò che si vuole essere.
E’ come se avessi chiuso le emozioni in una scatola dentro di me ed ho paura che se la apro ho un carico troppo grande da gestire.
Le mie foto sono una chiave se esiste la chiave, ma non ho ancora capito in che modo
Morten Krogvold, fotografo e scrittore norvegese è stato uno dei primi a scoprire l’esclusivo talento della giovane artista e ad organizzarne una mostra di grande successo; un riconoscimento pubblico fondamentale per Lene Marie.
Costei vive la sua malattia come l’unica sicurezza perché questa sicurezza è la conditio sine qua non della sua arte e lei è un’artista e non una malattia.
Su questo inestricabile dato le registe individuano il filo conduttore di una esistenza così straordinariamente conflittuale.
Nel suo corpo scavato, SCOLPITO, si legge una biografia e non una patologia, dove dietro l’oggettività dei segni sintomatici non scompare la soggettività di una donna, di un suo modo di vivere, di una sua differenza individuale, l’espressione di un disagio e di uno squilibrio.
Il documentario dedica uno sguardo attento, uno sguardo che si prende cura di un corpo che diviene punto di convergenza e centro di irradiazione dove sottesa c’è una riflessione sulla vita in generale sebbene l’azione della sua malattia si svolge di diritto nella forma dell’individualità.
Uno sguardo che scorge nel sintomo un simbolo, uno sguardo che ascolta e che parla urlando nei solchi scavati, nella carne tra le ossa, che il corpo non coincide con l’organismo che non sa nulla del mondo che attrae e delude, che non conosce la qualità delle passioni e non abita quei volumi di senso in cui il corpo si esprime vivendo.
Quando la vita gioca di continuo ai confini con la morte non sono le parole che si dicono in vita che possono tenere lontani dalla morte, ma solo lo scambio di una vita con la morte, purché quella morte sia raccolta da una vita, e quella vita, proprio a partire dalla morte, ricominci a capirsi.
27-Jun-2023 di Beatrice