
Recensione di Beatrice On 29-Oct-2023
In virtù di una borsa di studio per meriti accademici Oliver Quick, di estrazione sociale modesta, si ritrova dentro l’Università di Oxford, abitualmente frequentata da ricchi rampolli, perlopiù ereditieri e privilegiati. Non appena fa il suo ingresso viene immediatamente dileggiato per il suo look, considerato non proprio consono all’ambiente.
Inizialmente escluso da quel mondo insieme ad una altro talento della matematica, ha l’occasione per mostrarsi disponibile e magnanimo a Felix Catton, che aveva già attirato la sua attenzione in quanto suo compagno di corso, bellissimo, magnetico, affascinante, estremamente attraente per il pianeta femminile, nonché rampollo di una facoltosa famiglia.
Invitato a prendere parte al gruppo studentesco e alimentato il rapporto di amicizia viene anche invitato a trascorrere l’estate nella tenuta/castello di famiglia a Saltburn.
L’impatto con l’ambiente del sontuoso maniero, tra camere, saloni, giardini, labirinti, dipinti nonché famiglia eccentrica e divertente seppur ingombrante e impegnativa, sembra decisivo per far individuare a Oliver le finalità e le scelte che la sua vita dovrà intraprendere.
Nessun compromesso con la sua provenienza intende percorrere lo studente goffo e impacciato degli inizi: i mezzi saranno giustificati dal fine e il fine decorato e servito dalla menzogna.
La forte attrazione per quel mondo, la sua intensità, le passioni che lo corrodono, i fluidi che lo attraggono sia che siano di natura mestruale femminile che spermatica maschile non prevedono alcuna esitazione.
Dopo l’indimenticabile, meritatamente pluripremiato esordio della Fennell con l’eccellente film Una donna promettente, ci ritroviamo in balia di uno tsunami di trepidazioni dove l’inconscio ha nettamente il sopravvento sull’elemento razionale e la violenza emotiva e visiva costituisce l’esplosione del turbamento a margine tra il godimento e la patologia.
Da un lato l’attrazione per una contaminazione che viene dal basso, dall’altro la ricerca spasmodica della legge del contrappasso determinata dal divario sociale.
Non solo, Oliver, è all’oscuro di se stesso, vive in preda ai propri istinti; adora il bello, ne è travolto, irresistibilmente attratto: è privo di desiderio, il suo è puro, esclusivo, assoluto appagamento.
Oliver è un corpo estraneo ovunque lo si collochi, mentre Felix è sempre in armonia con l’ambiente che lo circonda: uno brutto e goffo, l’altro bellissimo e attraente.
Il racconto sadico, travolgente, ipnotico, perturbante e disturbante esercita una attrazione incondizionata verso la violenza, il male, il tradimento, la nausea.
Un epopea sulla famiglia nobile, borghese, funzionale o disfunzionale che sia, sulla quale la Fennel esercita la pressione del desiderio che diviene ossessione, dell’ammirazione che si tramuta in acrimonia, dell’amore che si fa odio, della passione che esercita e si trasforma in martirio.
La sproporzione di voler essere altro da sé, dell’incapacità di accettare la propria condizione: se la bellezza, la ricchezza, la magia, il privilegio, sono tutti dalla stessa parte, qualcosa accade, e se non è la ridistribuzione della ricchezza ad intervenire il singolo esercita una propria unica, talentuosa, capacità manipolatoria con uno strumento efficace, seppur smascherabile, quello della menzogna compulsiva.
Raccontare il male attraverso la mitologia del labirinto dove troneggia il minotauro, raccontarlo dove il bello è contrapposto al brutto, il ricco separato dal povero, il diabolico antitetico all’angelico, la scaltrezza opposta all’ingenuità, la menzogna separata dalla sincerità rende l’arte visiva della Fennel irreristibilmente magnetica e questo valeva anche per la sua donna promettente dove il piano etico sembrava decisamente più strutturato.
Non è una questione di etica più o meno presente o assente, qui il focus è puntato sulla violenza fine a se stessa, che sia subita, agita, esercitata, progettata, determinata: la violenza del maschile sul femminile, la violenza di chi non si oppone alla violenza, la violenza della discriminazione sociale, la violenza dell’estetica del bello rispetto a quella del brutto, la violenza in quanto tale che attrae proprio perché sollecita l’olfatto difronte allo scandalo di dire, vedere, affermare, rappresentare la corsa sfrenata della spudoratezza disinvolta, impudente, temeraria ma soprattutto oscena del male.
Quel male che l’imperdibile danza finale di Oliver, rappresenta con estrema grazia, in tutta la sua più efficace, potente, artistica disinvoltura.
Non c’è nulla di più irritante che essere ricco, di buona famiglia, avvenente, colto, intelligente e perfino buono e, al tempo stesso, non possedere nessuna attitudine speciale, nessuna originalità o almeno un’idea che possa dirsi veramente personale.
29-Oct-2023 di Beatrice