
Recensione di Beatrice On 19-Oct-2024
La vita procede di smarrimento in smarrimento
Ana Maria è un’immigrata e viene da Cali, Colombia.
Sono 16 anni che lavora per gli anziani, da tre anni vive a Panama e cerca ancora di ottenere i documenti.
E’ al terzo mese di gravidanza e si reca a fare i controlli, intrattenendosi con le altre future mamme in attesa. Si confronta con loro, vuole sapere, conoscere la loro situazione; prende il numeretto ma poi va via.
Un giorno viene convocata per un colloquio: deve occuparsi di una ricca signora altoborghese, che inizia ad avere importanti problemi di demenza senile.
La figlia Jimena le offre 140 euro a settimana lavorando 8 ore al giorno dal lunedì al sabato e mentre avverte la madre che la donna si occuperà di lei, la signora Mercedes detta Mechi, neanche si gira a guardarla e a salutarla, è troppo impegnata a dedicarsi alle sue orchidee e al suo splendido giardino tropicale.
Una governante lavora e vive lì da 40 anni, le fa visitare la casa e le spiega come muoversi.
La signora trascorre pomeriggi bevendo tè con le sue amiche ma un giorno inizia a ingozzarsi di dolci perdendo il controllo di sé, non vuole tuttavia essere osservata e controllata da Ana Maria.
La città è calda, molto umida e piove di frequente e un giorno pretende che Ana Maria apra la raccolta di acqua piovana per le sue orchidee e la nuova badante non esita a soddisfarla nonostante cada pioggia battente.
Suona sempre il campanello per chiamarla e chiama la figlia davanti a lei chiedendole come si chiama la ragazza incinta che viene ogni tanto…
Si lamenta spesso che le stanno rubando le sue cose, compresi gli orecchini.
Tra crudeltà e diffidenza iniziale un giorno Ana Maria cade per prenderle una scatola e iniziano a ridere insieme.
Jimena si rende conto che la madre ha bisogno di una presenza 24 ore su 24 e le propone una paga doppia per rimanere a dormire nella lussuosa casa.
Una camera piccola al piano terra ma la signora Mechi negli sporadici momenti di lucidità le dice che deve salire al piano superiore dove fa meno caldo e la camera è molto più grande con una bella cabina armadio.
Inizia un rapporto di grande intimità e divertimento: le docce, le passeggiate al parco, la cura dedita e paziente di Ana Maria conquistano completamente la signora che non esita a sollecitare la sua presenza anche il giorno del suo compleanno in cui è presente tutta la famiglia con i quattro figli e tutti i nipoti.
Vuole che indossi un suo bellissimo vestito lilla e richiede una foto con lei.
La signora nonostante lo stato confusionale in cui si trova ha dei momenti in cui l’intuizione la assale facendole individuare qualcosa di precluso ai più: inizia pertanto la condivisione di un segreto che ne apre altri.
Fuma di nascosto, mangia voracemente, a volte anche insetti, beve tutto quello che trova in giro mentre Ana Maria non le proibisce nulla, la carezza, la asseconda proteggendola e facendole capire cosa non fare.
La scena di notte davanti al frigorifero è un vero gioiello di pedagogia della cura.
Un giorno mentre parlano della vita di Mercedes, dei suoi quattro figli e della vita che ha condotto come amministratrice della propria impresa le rivela:
“essere madre non ti salva da niente”.
Considerata la condizione di Mechi, molto naive e spontanea, sembra una dichiarazione dell’inconscio.
Tra l’imbarazzo dei figli, le attenzioni e i rituali linguistici di Ana Maria, la signora trascorre le sue giornate fino ad un epilogo indisturbato e sereno.
Il meraviglioso giardino tropicale, le piante, i fiori, i pappagalli, l’hanno accompagnata ad un congedo dignitosamente imperturbato.
Lo sguardo che la signora rivolge alla sua badante è molto diverso dallo sguardo confuso che l’accompagna nella quotidianità perlopiù inconsapevole: il ritratto vivace e intuitivo incuriosisce lo spettatore, sempre in attesa di qualche dispetto, atto imprevedibile, parola crudele o accogliente che la signora riserva alle persone che la circondano.
Il racconto della Endara è travolgente: la capacità di concentrare l’attenzione sugli avvenimenti, sui segreti, sui non detti, sulle reazioni, comportamenti, vissuti, memorie, esperienze, conferisce al film un rilevante valore antropologico, accompagnato da elementi culturali, linguistici, sociali, economici, geografici ed etnologici che solo un’esperta e attenta documentarista avrebbe potuto rappresentare con tanta raffinata sofisticatezza.
Due solitudini si incontrano tra follia, assurdità, amore e cura.
Due realtà abissalmente diverse eppur complementari, in una fase della propria esistenza, seppur breve: una che sembra aver avuto tutto dalla vita, l’altra niente.
Un destino: l’urgenza di un incontro incomprensibile che diviene vitale: una necessità che confeziona una complementarietà.
Il ritratto delle declinazioni che può assumere la cura e la maternità per quell’umano che può rimanere e tornare bambino.
L’incomunicabile smarrimento delle reciproche condizioni, tra l’isolamento della malattia e il desiderio che permane sogno, gioco, inesaudibilità.
C’è nella precarietà di alcuni giorni, nello smarrimento dei sensi, nell’interrogarsi delle parole, qualcosa di fragile e prezioso. Che sa di vita.
19-Oct-2024 di Beatrice