
Recensione di Beatrice On 21-Sep-2024
Non trovi che il desiderio sia mistero e il sesso il suo funerale?
1950, sta nascendo una fanciulla, partorita nell’acqua del mare: per l’evento viene trasportata una carrozza del XVII secolo che fungerà da culla.
Una delle case sull’acqua più belle di Napoli è il luogo in cui la nuova venere/sirena/creatura mitologica conquisterà il suo spazio di bellezza e sapienza.
Occhi nuovi guardano una Napoli/Partenope borghese e povera, opulenta e misera, colta e incantata che NON DISTINGUE L’IRRILEVANTE DAL DECISIVO.
Una città che guarda e si guarda attraverso la bellezza eterea e intangibile di una donna libera e amata, profondamente desiderata dal fratello Raimondo e non solo.
La loro gioventù così privilegiata e insieme infelice è frantumata da incontri dove il SILENZIO DEI RICCHI è MISTERO E QUELLO DEI POVERI FALLIMENTO.
1973, il funerale e il colera sul lungomare di Napoli.
Parthenope frequenta la facoltà di Antropologia e vuole sapere come la definisce il professor Marotta.
Considerata la sua bellezza e desiderabilità le viene consigliato di fare l’attrice ma lei, che non risponde alle domande ma sentenzia con determinazione, non è interessata a quella possibilità.
La parodia di una grande attrice napoletana, con un monologo su Napoli e napoletani, piuttosto severo e dissacrante, ritrae un’immagine della città tanto lodata e tuttavia sempre tradita.
Parthenope circondata da fatui individui, arroganti, desideranti, adoranti, è perlopiù attratta dalla compagnia di intellettuali come John Cheever, con il quale si intratterrebbe volentieri se lui non fosse interessato ad altri corpi.
Parthenope cresce, vaga, osserva, ascolta, studia da attenta antropologa pur continuando a chiedersi cosa sia l’antropologia.
Non si fa mancare nulla, neanche un tour nei quartieri spagnoli con il camorrista di turno: tra una umanità ricca e infelice e quella povera che non ha strumenti per vivere.
Mentre lei propone al professor Marotta una tesi sulla ragione antropologica del suicidio, lui replica per le radici culturali del miracolo.
In virtù di questi temi frequenta l’arcivescovo che si occupa del miracolo di San Gennaro, parodia di Crescenzio Sepe che si tinge i capelli in chiesa; gli fa notare che nel duomo non c’è aria e lui replica: è il cattolicesimo!
Il miracolo non avviene, il sangue non fluidifica, la staticità coagula.
L’antropologia è VEDERE sostiene finalmente Marotta: quando sei giovane hai altre priorità: vivere desiderare sognare, muoverti nel mondo, conoscere e poi piano piano queste cose si affievoliscono e la vista diviene una specie di strumento di sopravvivenza.
Se la giovinezza è un momento di falsa felicità, la donna rimane un oggetto misterioso, inconoscibile.
Bellezza, mistero, libertà: se l’antropologia è vedere, quella di Parthenope è un’esperienza antropologica.
La grande bellezza ritraeva Roma e i Romani, ma non solo, Parthenope ritrae i napoletani e Napoli, ma non solo.
Un’umanità irrisolta, incompleta, si aggira in un mondo frammentario, dove c’è troppo spazio per essere percorso e troppo tempo per essere vissuto.
Il figlio di Marotta è fatto di acqua e sale, una sorta di Nettuno che ride pacifico guardando la tv.
La tecnologia non c’è; in gioventù tutto deve ancora accadere ma forse non è così perché tutto accade in un attimo.
L’unico potere della bellezza è alimentare il desiderio, dilatare, procrastinare, dilazionare, dividere, frammentare…. parcellizzare il godimento acefalo dell’attimo.
Parthenope è contaminazione e verginità, commistione e separazione, è contatto e distacco; è straniera nella sua città, è estranea a sé stessa.
Difronte alla iniziazione/fusione violenta e volgare della Napoli camorrista si perde e si ritrova per individuare la giusta distanza; la vita è l’unico compromesso possibile.
L’infelicità palpabile, la malinconia tangibile:
Un racconto epico sulla lunghezza della vita: per una serie di ragioni ho pensato fosse più puntuale e preciso farlo compiere ad una donna perché nell’epoca della lunghezza della vita è contenuto il tema del tempo che scorre, che non vuol dire nostalgia e malinconia, per quanto questo ci accomuni tutti. Nel momento in cui abbiamo la fortuna di vivere abbastanza a lungo siamo tutti destinati ad amare, soffrire, a deludere e a essere delusi, siamo tutti eroici rispetto alla lunghezza della vita; rispetto al tempo che scorre e a come scorre e come questo ci cambia. Mi è parso che agli appuntamenti della vita le donne ci arrivano con maggiore consapevolezza e con maggiore responsabilità, non come gli uomini che sono spesso malati di infantilismo; in questo senso mi sono sentito molto femminile. Quando parlo degli appuntamenti della vita e dei cambi di umore legati all’età sono molto più in sintonia con le donne che con gli uomini che tendono a minimizzare, facendo finta che il problema non esista. Il giorno in un cui il racconto è nato era perché ero abbastanza brillo per fare propositi per il futuro.
Un film di domande senza risposte, dove il patto è quello di non giudicare mai, soffermare lo sguardo, imparare a vedere, anche se ERA GIA’ TUTTO PREVISTO.
Anche se è il mistero che conferisce bellezza alla libertà, o libertà alla bellezza.
Parthenope è Napoli e Napoli è microcosmo dell’umano, con tutte le sue contraddizioni, estetiche, etiche, esistenziali: Napoli ti promette sempre un’eterna vacanza e ti fa vivere sempre fuori.
È amore e tradimento, è spiritualità e farsa, è estasi e indifferenza.
Parthenope donna è la capacità di indugiare, sostare, prendere tempo, vedere. È l’antropologia in atto dello sguardo femminile sull’umano troppo umano.
Ma forse non è cosi e Dio odia il mare…
Sorrentino conferma l’estro, quello di rappresentare artisticamente la profondità della superficie.
Una superficie caotica e barocca, tuttavia seduttiva e ipnotica che non avrebbe bisogno di una storia perché è già trama, tessuto, intreccio, soggetto, sceneggiatura.
Una fluidità obliqua che fa dell’immagine un ampliamento dello sguardo, un punto di domanda che interferisce sulle analogie, le differenze, gli stereotipi e mette in questione le interazioni.
Un cinema smoderato che ritrae l’eccesso, per decorare una superficie costruita sulla profondità, stratificata su di essa, ispessita dalla sedimentazione di intenti e significati.
Una superficialità mai sommaria, sempre circostanziata seppur apparentemente caotica e vagamente indefinita.
Un incantesimo disturbante.
21-Sep-2024 di Beatrice