
Recensione di Beatrice On 20-Aug-2023
Il destino è forte e stupido, innocente e inumano.
La madre danza in un prato.
Il figlio Do-joon, viene investito davanti ai suoi occhi da una Mercedes.
L’omesso soccorso, l’incontro con i proprietari, ricchi giocatori di golf che reputano più grave la rottura dello specchietto della loro Mercedes 280 che una vita umana, colloca la pellicola vincitrice dell’Asian Film Festival del 2009 sulla stessa linea d’onda del film Parasite, dello stesso regista, vincitore di Cannes 2019.
La ricchezza e la povertà, le discriminazioni sociali, culturali, giudiziarie.
Un rapporto simbiotico/patologico madre-figlio, turbato da una vita vissuta in povertà, in una casa con un unico letto, dove si cucina per la virilità del figlio, considerato tuttavia “ritardato” da tutti.
Un caso di omicidio travolgerà ulteriormente questo rapporto.
Una ragazza viene trovata uccisa e appesa riversa su un terrazzo per essere vista da tutti.
Tutti infatti accorrono a vedere la scena del crimine come su CSI, come in Tv, come nelle celebrazioni circensi della violenza.
Do-joon si mette spesso nei guai, è problematico, si ubriaca, non ha un lavoro e sembra il capro espiatorio perfetto per chiudere il caso di omicidio; chi meglio di lui può aver commesso quel crimine?
Solo la madre non si arrende mai e cerca di ingaggiare avvocati, di individuare percorsi di indagine alternativi; accusa il figlio di aver firmato la confessione quando non bisogna mai confessare e lo invita a massaggiare le tempie, gli ha insegnato da sempre a ricordare con questo rituale.
Ma il ricordo del figlio diventa un atto di accusa nei confronti della madre, del passato e dell’infanzia.
Tuttavia l’ostinazione della madre che non può accettare la condanna del figlio, non si arrenderà difronte ad alcuna prova.
Una madre disturbata, responsabile, assoluta e risoluta che non si ferma davanti a nulla, neanche agli atti più violenti pur di scagionare il figlio e quindi sé stessa.
Scene mozzafiato, in cui la violenza psicologica, fisica, sociale raggiunge inenarrabili livelli di spietatezza; la superficialità della indagini, la corruzione, l’ostinazione di chi è pronto ad uccidere anche di fronte a qualunque prova di colpevolezza; l’abiezione più totale dell’animo umano a qualunque livello, in qualunque condizione, senza discriminazioni.
Nonostante l’ostinazione della madre le prove di colpevolezza convergeranno spontaneamente su un altro ragazzo, alla vista del quale questa madre piangerà perché più disgraziato di suo figlio Do-joon, orfano peraltro.
La gerarchia delle disgrazie umane non rende l’umano di Bong Joon-ho meno disumano.
E proprio quel figlio “ritardato” non ha alcuna pietà per quella madre che lo sollecita alla memoria, incurante possa essere dolorosa e incalzante come quella di un bambino mai cresciuto. E proprio quella madre non ha alcuna pietà per quel figlio che sa essere il parto di una maternità suicida e sepolta nell’oblio.
Ma inumano è pur sempre l’amore
di chi rantola senza rancore
perdonando con l’ultima voce
chi lo uccide fra le braccia di una croce
20-Aug-2023 di Beatrice