MORO

Brillante Mendoza

1h 20m  •  2023

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Recensione di Beatrice On 17-Apr-2024

Un cavallo nero e un cavallo bianco si scontrano in un campo di canna da zucchero.

Alcuni uomini tagliano con la falce le canne e esce il sangue, spruzzando i loro volti.

Siamo a Maguindanao, regione autonoma musulmana delle Filippine.

Mangindra si sveglia dal sonno, questo sogno violento l’ha accompagnata durante la notte.

Il figlio Abdel ha sprecato i suoi risparmi nel gioco d’azzardo e ancora scommette su feroci combattimenti tra cavalli, mentre Jasim ha conservato i suoi averi, ha famiglia e terreno.

La madre cerca di farli riconciliare e chiede a quest’ultimo di aiutare Abdel e di farlo tornare alla terra. Non vuole che accada quello che ricorda del sogno dove il padre morto chiedeva ad uno dei due di andare con lui…

Per questo vuole onorare suo marito con un kanduli, una offerta che restituisca energie per la riconciliazione dei figli.

I due figli sono in disaccordo per un pezzo di terra ma la tribù riesce a contribuire a risolvere la questione.

L’Imam fa giurare intanto i fratelli che la disputa non continuerà, tuttavia un intervento inaspettato del governo mette l’intera provincia in uno stato di estrema violenza.

Mendoza, divide il racconto in due parti:

in questo film narra la controversia che circonda la tragedia della SAF ( Special Action Force) 44 nel 2015 dal punto di vista di una famiglia Maguindanaoan, mentre l’altro film Bansa riguarda il punto di vista dei sopravvissuti della SAF.

Tutti sono stati vittime di quello che è successo in quei luoghi.

Qui racconta la strage di Mamasapano commessa il 25 gennaio 2015 nella citta filippina omonima, in seguito a uno scontro tra le forze speciali della Polizia Nazionale Filippina (SAF) e i gruppi terroristici islamisti del MILF e BIFF.

Nel film il padre dei fratelli riappare più di una volta con continui flashback per ricondurre ai sacrifici passati e alla minaccia della storia che ritorna e si ripete.

Una sorta di nuovo Caino/Jasim, fratello maggiore, responsabile lavoratore mentre Abel/Abdel spensierato e inaffidabile giocatore.

Tutto raccontato con la fotografia magistrale di Mendoza, i volti lacerati e i campi di grano che si riempiono di soldati e di proiettili tra corpi e sangue al grido di Allah Akbar.

La storia di una famiglia, l’amore di una madre e un massacro si concentrano in ottanta minuti di violenza e grida mentre il finale chiude con un lamento per tutte le vittime dell’isola di Mindanao.

Tragico, poetico, simbolico: la metafora di un mondo apre e chiude di nuovo uno spaccato di realtà storico-sociale: Mendoza si conferma maestro e squarcia di nuovo il velo dell’aletheia cinematografica.

17-Apr-2024 di Beatrice