MONSTER

Hirokazu Kore-Eda

2h 6m  •  2023

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Recensione di Beatrice On 20-Jul-2023

La gente ha bisogno di un mostro in cui credere. Un nemico vero e orribile. Un demone in contrasto col quale definire la propria identità. Altrimenti siamo soltanto noi contro noi stessi.

L’adolescente Minato inizia a comportarsi in modo inconsueto e chiede alla madre:

“se ti trapiantano un cervello di maiale sei sempre umano o animale?”, una domanda alquanto bizzarra che rivelerà la propria pertinenza solo alla fine del film.

La madre si reca a scuola perché sa che il maestro di Minato fa cose strane anche violente, esige pertanto spiegazioni, scuse e rassicurazioni. La preside, assorta da un dolore personale, non sembra pronta ad affrontare la questione e così anche il corpo docenti, ma la mamma del ragazzo non desiste convinta che la ragione sia dalla sua parte.

Un incendio, una serie di inesauribili incastri, responsabilità, colpe, pregiudizi, non detti, presunzioni di innocenza e di colpevolezza, un’adolescenza incontrollabile, genitorialità defunte, assenti o invadenti, identità sfaccettate prendono corpo in un quadro a tratti figurativo a tratti astratto seppur sempre simbolico di un mosaico inestricabilmente coinvolgente.

La famiglia di Kore-eda assume delle nuove sembianze, dettate dalla società contemporanea e soprattutto dal nuovo filone intrapreso con The Third Murder, dove la storia è solo un pretesto per rappresentare un concetto, una visione, una realtà.

Il mostro ha tante forme o anche una sola ma sproporzionata e chiunque voglia, aspiri, esiga catturarla deva scontrarsi con una indagine inesauribile, molteplici punti di vista, innumerevoli posizioni, indefinite prospettive: ognuno ha il suo spazio e quello di un bambino, di un adolescente, di un genitore, di un insegnante, di un padre, di una madre sono profondamente e incommensurabilmente diversi soprattutto se vissuti in famiglie smembrate eppur patriarcali, che fanno di Minato un adolescente sensibile e protettivo nei confronti del piccolo e suggestivo Yori che fa del suo mondo alternativo di tunnel, rifugi, oggetti e disegni l’unica possibilità di vita e di fuga in un mondo immaginario.

Un richiamo innegabile al Close di Lukas Dhont, con un esito apparentemente meno tragico, con risvolti meno efficaci per il tema in sé ma più sofisticati per la capacità simbolica e la dimensione metalinguistica e concettuale che il cinema di Kore-eda ormai intende seguire.

Chi è il mostro?

È la domanda e il filo conduttore del film.

Niente è come apparentemente sembra; il colpevole iniziale, presunto, responsabile, la vittima, i compagni, l’amico, il padre.

Qual è la verità? Un insidioso intreccio di accadimenti, poco plausibile inizialmente, arriva a sgretolarsi gradualmente: la tesi iniziale perde fuoco a vantaggio di una antitesi al sapore di bullismo adolescenziale per disvelarsi nella risposta/sintesi alla domanda iniziale.

Costruisce per poi demolire ogni percorso narrativo intrapreso Kore-eda.

Ogni indizio scivola sul tassello successivo, rimarcando impossibilità di indicarlo in modo definitivo: un perfetto psycho thriller, laddove colpevole e vittima, causa e effetto, mezzo e fine, attivo e passivo, omissione e puntualizzazione, immaginazione e realtà sembrano inevitabilmente assemblati.

Come sempre accade nei film giapponesi il rebus che si dipana attraverso la narrazione trova il suo perfetto compimento nell’evolversi della sceneggiatura.

Una pellicola scivolosa quella di Monster, quasi a voler indicare proprio in sé stessa l’indefinibile rappresentabilità: se il mostruoso come il sublime kantiano esce fuori dai canoni estetici della bellezza per assestarsi su quelli della sproporzione, proprio qui il regista conferma, come già anticipava nel suo precedente The Third Murder, il riferimento alla impossibilità di ottenere una risposta, una soluzione, una verità unica e definitiva.

Non serve a niente essere un mostro, se non si è al tempo stesso un teorico del mostruoso.

20-Jul-2023 di Beatrice


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