
Recensione di Emanuele On 05-Jan-2025
Casa di Maria
La Callas vive in compagnia dei suoi servitori e dei cani all’interno di un enorme appartamento di Parigi. Onassis l’ha lasciata e la sua carriera non splende più a causa degli svariati problemi di salute e della voce che non è più quella di un tempo.
Suddiviso in atti (banale!) il film ripercorre un breve periodo della vita della cantante lirica, quello appena precedente la sua morte, ma tramite una serie di flashback in bianco e nero (banale!) ci mostra anche sprazzi dell’incontro con Onassis, parti della sua difficile adolescenza e alcune memorabili interpretazioni (memorabili per la Callas, meno per la Jolie. Quando la vediamo sul palco cantare, la sua recitazione sfiora persino il ridicolo involontario).
Maria è una bambola rotta, è imbottita di psicofarmaci, la sua vita scorre tra realtà e allucinazioni, ma non siamo dalle parti di “Repulsion” di Polanski, le visioni della Callas sono malinconiche, non orrorifiche (lo erano invece quelle di Diana nel precedente “Spencer”, ma quello era un horror).
Larraín alla sua terza biografia di personaggi femminili realmente esistiti, dopo il film politico (“Jackie”) e quello dell’orrore (“Spencer”), si cimenta in una specie di commedia. Le battute ironiche abbondano, soprattutto in alcuni duetti tra la protagonista e il suo cameriere.
Larraín ama la Callas e si vede, vuole rappresentarla il più possibile in maniera compassionevole, questo non gli permette di realizzare un personaggio prismatico e ambiguo come fece con la Kennedy e la Spencer. Non c’è un’idea di cinema originale dietro “Maria”, ma solo un omaggio all’artista che viene tratteggiata con amore e con rispetto. Le capacità critiche di Larraín perdono forza. Non c’è disanima sociale o di costume, non ci sono sfumature, tutto è più netto. Jackie veniva descritta come una narcisista megalomane, solo in parte offuscata del marito, la sua figura permetteva al regista di affrontare temi a lui cari come la gestione del potere e la fede. Diana in “Spencer” era vittima e carnefice di se stessa e la famiglia reale sembrava un clan mafioso. Maria è solo succube di un amore andato a finire male e di un’ infanzia/adolescenza traumatica. Larraín la adora talmente tanto da renderla persino marxista (tratta la servitù con i guanti, pur facendo qualche capriccio).
Il suo dolore è reso glamour e plastico, la Jolie soffre in posa, come stesse sul set di un servizio fotografico per Vogue.
Impressionante la ricostruzione storica, monumentale il lavoro svolto sulle scenografie e gli arredi della casa della Callas, molto simili a quelli reali.
I flashback con Onassis sembrano dozzinali sequenze di un qualsiasi film d’amore.
Il più semplice del trittico biografico di Pablo Larraín, quello che sembra più prepotentemente studiato a tavolino per portare Angelina Jolie alla candidatura agli Accademy Awards 2025.
Il primo film commerciale del regista cileno.
05-Jan-2025 di Emanuele