
Recensione di Beatrice On 28-Nov-2024
Ogni cosa degna di nota ha un esito tragico.
Anni ’50.
Cecilia, un’adolescente priva di famiglia e di protezione, si ritrova schiacciata dalla brutalità del contesto che la circonda. Dopo aver subito un abuso da parte del direttore dell’orfanotrofio in cui vive, rimane incinta. Tuttavia, il suo tentativo di attribuire la paternità a un coetaneo viene accolto con incredulità e violenza, in un contesto sociale che reprime la verità per proteggere le apparenze. Per occultare la gravidanza e preservare la rispettabilità dell’istituto, Cecilia viene mandata in una villa isolata, dove Ida, una donna segnata dal desiderio insoddisfatto di maternità, accoglierà il nascituro come proprio figlio.
Nella villa, Cecilia incontra Alma, la domestica di Ida, e per la prima volta scopre una forma di cura e attenzione, seppur intrisa di interessi e fragilità. Tra le tre donne si crea una connessione profonda, un equilibrio precario che offre riparo alle rispettive solitudini. Tuttavia, l’arrivo del bambino altera irreversibilmente questa fragile armonia, portando alla luce tensioni latenti e ferite irrisolte. Le dinamiche emotive si complicano, mettendo a dura prova il fragile rifugio che avevano costruito.
Il racconto si configura come un’esplorazione esistenziale di tre vite, di tre madri impossibili, intrecciate dal dolore e dal desiderio di appartenere, ambientato in un’epoca in cui il destino sembrava scritto dalle mani del conformismo e del giudizio sociale. Ogni personaggio, espressione di una generazione diversa, incarna una visione unica del bisogno d’amore, ma anche le profonde ferite che l’assenza di esso può lasciare.
La cena alla quale sono invitati gli ospiti della signora si rivela un agghiacciante ritratto di ipocrisie, falsità e meschinità.
Tra una simbologia legata alla natura e agli animali, cui si ricorre come metafora dell’umano si incontra più di una volta il granchio che si aggira sulla tavola e sul prato: sia come simbolo di resurrezione perché lascia le spoglie mortali per rinascere sia come emblema della incostanza e della insicurezza per la sua caratteristica di camminare sia avanti che indietro.
Infatti Madame Ida, alcolista, rispecchia proprio questa caratteristica tendenzialmente bipolare: a tratti affettuosa accogliente e rassicurante prevalentemente respingente, crudele e violenta.
Anche rappresentazioni teatrali strutturate nella magnifica casa tendono a esemplificare, insieme alla musica, le tensioni, le inquietudini e le strutture concettuali della storia: il destino, come dice la proprietaria della splendida villa “sei quello che sei, hai quello che hai”.
Come dichiara l’autore, il film si ispira a esperienze generazionali, trasformando una narrazione individuale in una riflessione filosofica sul bisogno innato di riconoscimento e accettazione.
Presentato al 42° Torino Film Festival, il lungomentraggio danese prodotto da Zentropa, con una citazione a Antichrist di Lars con Trier, si presenta come il prodotto più interessante della kermesse. Una inquieta indagine sul significato universale della mancanza di amore come violenza primordiale e sulla devastazione che tale assenza può determinare. Attraverso un racconto intimo e complesso, il regista esplora le ombre che si annidano nell’animo umano quando il vuoto affettivo diventa il centro della propria esistenza.
Ogni volta davanti a un bivio il destino ci mostra tutto il suo ventaglio di varietà, ferocia e bellezza.
28-Nov-2024 di Beatrice