
Recensione di Beatrice On 16-Jan-2025
La religione vuole rispondere alle domande, il paganesimo vuole vivere la domanda
A Crotone, giovani e adulti si dedicano per settimane alla costruzione delle "pire di quartiere", una competizione che si gioca sulla realizzazione del falò più imponente. La legna, raccolta segretamente prima della data fatidica del 13 dicembre, giorno in cui la città si illumina di fiamme, non è soltanto un materiale: è un simbolo di resistenza e rinnovamento collettivo. Quella che si manifesta, quindi, non è solo una tradizione religiosa consumata con un rito pagano ma racconta storie di legami, di speranza e di lotta contro l'oblio. Originariamente, infatti, il fuoco di Santa Lucia, prima di essere una celebrazione, rappresentava una condivisione di momenti di socialità, un'opportunità per la comunità di incontrarsi in vista del Natale. Oggi, questo evento vede affievolirsi il suo spirito originario, appannato dalla discontinuità generazionale e dall'indifferenza culturale che rischia di fare perdere alle nuove generazioni il senso di connessione con il passato.
In ogni rione, la tradizione si rinnova attraverso la propria pira, un fuoco che non è solo un fenomeno fisico, ma un potente simbolo di luce e di purificazione. La cristianità, che da secoli associa il fuoco a significati di redenzione e speranza, ha fatto di Santa Lucia una figura paradigmatica di chi, nonostante la sofferenza e l'oscurità, riesce a mantenere viva la percezione della luce interiore. La festa, quindi, non è solo una commemorazione del Natale, ma anche un atto di resistenza e di speranza per chi lotta quotidianamente contro la propria oscurità, sia essa materiale, spirituale, etica, legale.
Fondo Gesù, il quartiere di Crotone al centro di questo rito, è spesso considerato un simbolo di marginalità sociale. Radicato nella storia operaia della città, questo quartiere vive in una condizione di perenne abbandono, attraversato da una relazione conflittuale con il resto della società. Ma è proprio nel cuore di questo territorio che, ancora oggi, la tradizione si fa veicolo di solidarietà e di identità. Lì, dove la distanza sociale si fa più evidente, il rito del fuoco riesce a ricucire il tessuto umano e a offrire una parentesi di condivisione.
Lux Santa, il documentario di Matteo Russo, si inserisce in questo scenario per raccontare, con una lente antropologica, la realtà di un gruppo di giovani che vivono in questo contesto. Nonostante le difficoltà economiche e sociali che segnano profondamente la vita quotidiana, questi ragazzi riescono a trovare nel rito del falò non solo un modo per esprimere il loro spirito di comunità, ma anche un’opportunità per sottrarsi, anche se per poco, ai pesi emotivi e psicologici che il contesto impone. La preparazione del falò diventa per loro un atto di liberazione, un modo per rinnovare l’onore del quartiere e, attraverso la luce del fuoco, sfidare le difficolta della loro condizione.
L'interazione tra i protagonisti è al centro di ogni sequenza: la macchina da presa, con discrezione, entra nella loro quotidianità, indagando non solo la preparazione materiale del fuoco, ma anche gli scambi emotivi, le confidenze e le paure che animano le loro esistenze. Ogni incontro, ogni gesto di collaborazione nel costruire la pira, è intriso di un significato profondo. Il fuoco che si prepara non è solo simbolo di prestigio, ma di una ricerca di salvezza, di un desiderio di creare qualcosa che li sollevi dalle loro frustrazioni. La tradizione di Santa Lucia, accecata dalla violenza della persecuzione, diventa il fondamento di una narrazione che vuole andare oltre il dato materiale per esplorare le dinamiche più intime e universali della condizione umana.
Il film sfuma continuamente i confini tra documentario e finzione, immergendo lo spettatore in un’esperienza che alterna la concretezza della testimonianza alla ricostruzione simbolica del rito. Russo, insieme al co-sceneggiatore Carlo Gallo, ha vissuto a stretto contatto con i giovani: la partecipazione dei ragazzi al film non è solo un atto di documentazione, ma una forma di riscatto e di autostima, che li ha portati a raccontarsi, a condividere le proprie storie e, in molti casi, a contribuire direttamente alla realizzazione della colonna sonora del film, curata da Ginevra Nervi, in una fusione tra tradizione e contemporaneità.
Lux Santa non è solo un documentario, ma un'opera che recupera e rielabora in chiave neorealista il concetto di “communitas” attraverso un rituale che, pur nella sua dimensione religiosa e tradizionale, diventa un atto di denuncia. Il fuoco, simbolo di forza e purificazione, diventa il mezzo attraverso cui il quartiere si fa visibile, e attraverso cui i suoi abitanti, pur nell’assenza di supporto istituzionale, riescono a mantenere viva una cultura che trova nella sacralità della tradizione l’unico spazio di resistenza al degrado sociale e culturale. Il fuoco rimane l'ultima risorsa per riaccendere la memoria, la speranza e, forse, una possibilità di riscatto, nonostante le eredità dei padri.
Il profano accende ormai il luogo del sacro: il rito sacrificale e propiziatorio già della cultura della Magna Grecia di cui è intriso il territorio rappresenta ormai, tuttavia, la necessità della ostentazione della forza e del potere che la celebrazione comporta: la grandezza e la superiorità del fuoco vogliono rappresentare la superiorità del rione che lo ha costruito e illuminato. Ma…
Il profano può essere sacro se lo guardiamo con gli occhi giusti
16-Jan-2025 di Beatrice