
Recensione di Beatrice On 23-Jun-2023
Correre un’ora al giorno e garantirmi così un intervallo di silenzio tutto mio, è indispensabile alla mia salute mentale.
Jogging deriva dall’inglese TO JOG, ossia andare avanti a balzi e si ritiene che correre a un ritmo superiore ai sei minuti per chilometro si sta facendo jogging.
IL jogging non è sempre esistito e mentre i tapis roulant si usavano per punire i carcerati, quei pochi che correvano nelle strade e nei parchi venivano perlopiù considerati fuori di testa e alcuni addirittura multati dalla polizia per uso improprio del marciapiede.
Poi dagli anni ’60 qualcuno ha inventato questo sport e questa è la storia documentata della nascita della cultura di una attività all’insegna della libertà.
Sei tu infatti che decidi, sei libero con l’universo, nessuno ti dice cosa devi fare.
Ma era esclusiva maschile, le donne non potevano correre, in sede olimpica al max 800 metri. Si riteneva infatti che correndo si poteva staccare l’utero, diventare sterili, sarebbero cresciuti i peli sul petto e si sarebbe persa la grazia.
Solo Catherine Switzler, con il padre che la incitava a correre ed allenarsi riesce ad entrare nella squadra di atletica leggera riesce ad iscriversi alla maratona di Boston del 1967 eludendo il divieto di partecipazione imposto alle donne: l'atleta, infatti, si registrò come K.V. Switzer, indicando, cioè, le sole iniziali del nome e del secondo nome. Ottenne il pettorale numero 261.
Una volta avvedutisi del fatto, i giudici di gara cercarono di impedirle la continuazione, strattonandola per costringerla a uscire fuori dalla pista a tre chilometri dalla partenza. La Switzer, tuttavia, riuscì a resistere al tentativo di esclusione (aiutata dal suo fidanzato, anche lui iscritto alla competizione, che la protesse dall'aggressione) e portò a termine la gara nel tempo di 4 ore e 20 minuti.
Fu proprio la reazione violenta degli organizzatori a suscitare un movimento di opinione che portò all'apertura della maratona di Boston alle donne nel 1972 , mentre l'anno prima, nel 1971, le maratonete erano già state ammesse alla competizione di New York.
Dopo l'exploit di Boston, Kathrine Switzer si è impegnata in modo attivo per promuovere la partecipazione femminile alle maratone organizzate in vari paesi del mondo. Lei stessa ha preso parte a oltre trenta di tali competizioni, riuscendo anche a vincere la Maratona di New York nel 1974.
La crescita del movimento atletico della maratona femminile ha poi portato alla successiva introduzione tra le specialità olimpiche nel 1984, in occasione delle Olimpiadi di Los Angeles.
Il documentario narra anche la storia della nascita della rivista Spiridon negli anni ’70, una pubblicazione determinata dalla necessità di amici, patiti di atletica e di corsa che volevano condividere passioni sportive e soprattutto corse podistiche popolari.
Una rivista all’insegna dell’etica della natura, dei diritti delle donne e di uno sport libero e anarchico, che non riconoscerà più la sua funzione quando entrerà nel tentacolare mondo del business.
Figure come Frank Shorter e Fred Lebow che veniva dal mondo della moda diventano i joggers che corrono nelle strade di New York per dare speranza ad un paese vicino alla bancarotta, siamo nel 1976 e l’America stata vivendo un’importante crisi. Steve Prefontaine, un fuoriclasse della pista riesce a detenere tutti i record continuando tuttavia a vivere in una roulotte perché non guadagnava nulla nonostante gli altri intorno a lui ottenessero proventi colossali. Inizia da indossare le sneakers di una piccola azienda di soli 15 dipendenti: la Nike.
Un ribelle, costui, che lotta per i diritti degli atleti e la loro indipendenza dalle federazioni, definito lo James Dean della corsa, muore a 24 anni in un incidente stradale.
Il documentario non esita a raccontare la pratica del sottobanco e quindi denuncia l’ipocrisia delle Federazioni che Frank Lebow denuncia con un libro che gli costa molto caro.
E se le donne negli anni ’80 acquisiscono il diritto di correre sebbene in numero ristretto, un marchio decide per una corsa riservata alle donne, la Women Race, nonostante tutti i pregiudizi.
Le donne poverissime del terzo mondo capivano cosa significava avere l’accesso al coraggio e alla emancipazione e si apriva a loro la possibilità delle olimpiadi.
Joan Benoit vince al medaglia d’oro alle Olimpiadi del 1984 a Los Angeles, anno in cui la maratona femminile fu introdotta per la prima volta alle Olimpiadi.
Si arriva fino a 34 milioni di americani che fanno jogging e questo produce una circolazione spaventosa di denaro compreso il turismo della maratona in tutto il mondo.
E quello sport nato all’insegna della libertà e della gratuità arriva a muovere centinaia di milioni di dollari tanto da determinare la necessità di uno show che dovrebbe essere garantito nonostante tutti e nonostante tutto come l’uragano Sandy del novembre 2012.
E’ così che da quella necessità di svolgere un’attività libera all’aria aperta il documentario denuncia il lato oscuro di una pratica delle classi più abbienti inglobata nel circolo vizioso del business.
Pierre Morath, appassionato corridore, riesce a dipanare la matassa di una attività nata durante gli anni della contestazione come simbolo di libertà, per diventare il centro gravitazionale di una colossale industria di federazioni, marchi, riviste, integratori, turismo sportivo.
La sua capacità di fare di questo fenomeno il riflesso di una trasformazione sociale radicale è il grande merito di questo regista; dalla conquista dei diritti che ha determinato, dagli innumerevoli sacrifici che ha visto compiersi, alle glorie, ai riconoscimenti, ai mutamenti sociali, culturali, politici fino alla analisi del mercato che tutto questo ha inevitabilmente determinato.
Negli affari, se continui a correre, la concorrenza ti morde, se resti fermo, ti inghiotte.
23-Jun-2023 di Beatrice