L’uomo è l’unico animale che conosce la morte. È l’unico che la teme, ed è l’unico che la usa come strumento di dominio.
Nel contesto cupo di un'Europa devastata dalla Seconda Guerra Mondiale, Le assaggiatrici emerge come un racconto di resistenza umana, intriso di una tensione palpabile tra il bisogno di sopravvivere e la costante minaccia di annientamento. La pellicola ci immerge in un microcosmo di oppressione dove il cibo, simbolo di vita e speranza, diventa allo stesso tempo il mezzo per la morte, con un gioco di tensione e ambiguità che esprime la condizione esistenziale di chi è intrappolato in un destino che non ha scelto.
Il film, adattamento di un romanzo ispirato a eventi storici veri, ci pone difronte a giovani donne, costrette a una vita di passività apparente, la cui quotidianità è minata dalla perenne incertezza. La figura di Rosa, una donna che si ritrova in un angolo sperduto della Germania, diventa l'emblema di una ricerca di senso in un mondo che ha perso ogni punto di riferimento etico e umano. La sua lotta, seppur in piccolo, è il riflesso di una guerra che trasforma tutto, dai legami affettivi alla concezione stessa della moralità. La sua esistenza, ancorata alla speranza di un ritorno del marito, si intreccia inevitabilmente con la crudeltà di un sistema totalitario che si nutre di paure, privazioni e tradimenti.
Le assaggiatrici sono un gruppo di donne, tra cui Rosa, che vengono prelevate senza spiegazioni e senza possibilità di rifiuto per un compito tanto oscuro quanto rischioso. Costrette a testare il cibo per il Führer, si trovano a vivere ogni giorno con il terrore di morire per un semplice boccone. La loro quotidianità è scandita da attese snervanti e dall’impossibilità di rifiutare il cibo, nonostante il pericolo imminente. La paura di avvelenamento è costante, ma è l'ordine che prevale: ogni boccone diventa una roulette russa, ogni piatto un potenziale attacco alla propria vita.
Il cuore pulsante del film risiede nei silenzi e nei piccoli gesti, quei momenti che sembrano insignificanti ma che sono in realtà il terreno fertile dove fioriscono le emozioni più intime e le trasformazioni più significative. L’elemento esistenziale è centrale: le donne sono costrette a confrontarsi con la violenza, sospese tra la fame e la paura, ma anche tra la speranza di una vita che, purtroppo, non appare più come un diritto inalienabile, ma come un lusso per pochi. Il gioco psicologico che si sviluppa tra le assaggiatrici, tra legami di fiducia e tradimenti, diventa una rappresentazione della condizione di ognuno, schiavo delle circostanze e del destino.
Nel contesto di una Germania ormai sull'orlo della sconfitta, Edward, il marito di Rosa, è disperso nei territori russi. Tra le assaggiatrici, alcune iniziano a vacillare sotto il peso della realtà, mentre altre, come una di loro che rimarrà devota fino alla fine, vedono nel Führer un dio da venerare, un culto messianico che li sostiene. Ma tra le donne c'è anche una figura disincantata, un’infiltrata esperta infermiera che si presenta come emancipata e disincantata, una voce razionale che si scontra con il fervore della devozione cieca.
L’opera di Silvio Soldini non si limita a essere una riflessione sulla guerra, ma diventa un'esplorazione della condizione umana di fronte all'assurdo. Le scelte quotidiane, la necessità di trovare un equilibrio tra l'istinto e il senso del dovere, sono il vero terreno di lotta, quello che definisce la dignità dell'individuo in un contesto storico che ha smantellato ogni certezza. La guerra non è solo l'atrocità delle battaglie, ma anche la guerra invisibile che si combatte dentro di sé, dove la paura del tradimento si mescola al bisogno di amore e di affetto.
In questa cornice, il cibo diventa una metafora potente: è al contempo l’elemento che alimenta la vita e quello che può distruggerla. L’atto di mangiare si carica di un significato simbolico straziante: il nutrimento diventa il rischio, la paura della morte si insinua anche nei gesti più quotidiani. Eppure, nonostante la tensione, la vita sembra farsi strada attraverso le crepe della disperazione. La ricerca dell’affetto, il desiderio di affermare la propria esistenza attraverso un gesto d’amore, si scontrano con la dura realtà della violenza. Ma è proprio in questi momenti che emerge la fragilità umana più autentica, quella che non può essere cancellata, nemmeno dalla guerra.
E poi, c'è il dettaglio che, in un contesto di orrore e violenza, risulta incredibilmente ironico. Il Führer, dopo una visita in un mattatoio, impressionato dal rumore del sangue sulle calosce avrebbe deciso di diventare vegetariano. Un aneddoto paradossale che potrebbe farci riflettere sull'empatia verso gli animali, inversamente proporzionale a quella per gli esseri umani. Misteri dell'antropologia!
Le assaggiatrici non è solo la storia di un gruppo di donne che viveva nel terrore, ma anche il racconto di un universo psicologico in cui la resistenza umana si misura nel coraggio e nel compromesso delle scelte quotidiane. In questo contesto, il cibo diventa simbolo non solo di nutrimento fisico, ma di sopravvivenza emotiva e morale. Come nella vita, ogni gesto, per quanto piccolo o insignificante possa sembrare, diventa un atto di resistenza contro un sistema che ha cercato di cancellare ogni traccia di umanità.
Poco prima di morire, nel 2012, una donna tedesca di 94 anni rivelò al mondo un segreto che aveva custodito per tutta la vita: aveva fatto parte di un gruppo di giovani donne costrette per più di due anni ad assaggiare il cibo per Hitler, quando il dittatore era nascosto nella Tana del Lupo; dopo ogni pasto dovevano attendere un'ora per avere la certezza che quel cibo non fosse avvelenato. Il suo nome era Margot Wölk, l’unica sopravvissuta alla guerra. Ispirandosi a questa vicenda, Rosella Postorino ha scritto il suo romanzo Le assaggiatrici, un tributo alla memoria di quelle donne e alla loro indomita volontà di sopravvivere.
C’è una riflessione profonda sul tempo, su come esso diventa percepito in modo distorto in tempi di guerra. Ogni giorno sembra uguale all’altro, eppure il flusso inarrestabile delle stagioni, che avanza tra la morte e la rinascita, ci ricorda che la vita, pur minacciata dalla violenza, è inesorabilmente legata al ciclo della natura e della memoria. Così, anche la cinematografia si fa portatrice di questo contrasto, creando una sorta di dissonanza tra la bellezza visiva e l'orrore sottostante. Le immagini sono impregnate di una luce gelida, come se il tempo stesso fosse congelato in un limbo di attesa, dove l'esistenza umana è sospesa tra il desiderio di futuro e il peso di un passato che non può essere dimenticato.
Non c'è spazio per la superficialità nel racconto delle "assaggiatrici", le cui vite sono messe in scena come un delicato equilibrio tra la vulnerabilità della carne e la resistenza dello spirito. Ogni gesto, ogni sguardo è un tentativo di rivendicare una dignità che la guerra ha cercato di distruggere. La lotta per la sopravvivenza non è solo fisica, ma anche psicologica: le donne devono navigare tra le acque torbide della complicità e della sottomissione, cercando di mantenere una parvenza di umanità in un mondo che sembra averla persa.
Quando si perdono le cose più sacre, quando tutto è minacciato, l’uomo scopre che la sopravvivenza è un atto di arte.