
Recensione di Emanuele On 09-Dec-2024
La neve è rosa a New York, è rosa a causa del cambiamento climatico. I personal trainer non possono più avere contatto fisico con le loro clienti, rischiano una denuncia per molestie. L’eutanasia in molti stati è ancora illegale. Nel Dark Web si può comprare tutta l’illegalità possibile. Il mondo sta per finire o forse è già finito. La sanità è al collasso, l’inquinamento ha invaso il pianeta. La destra impone le sue leggi. I vivi ma anche i morti viventi sono su questa terra e l’unica cosa per cui vale la pena esistere è la bellezza. La bellezza dei colori, del cinema, della letteratura, delle grandi storie d’amore, del design, della pittura, di quella poca natura non ancora stuprata dall’uomo (in una scena la protagonista apre la finestra del suo appartamento newyorchese e quello che udiamo è il frastuono del traffico, quando si trasferirà nella casa nella foresta sentiremo solo il canto degli uccelli). La pittura di Hopper, i romanzi di Hemingway e Faulkner, il cinema di Buster Keaton, Rossellini, Ophüls e John Huston…La bellezza salverà il mondo! Almodóvar e i suoi personaggi sono come Schopenhauer, vivono l’arte come liberazione dal dolore dell’esistenza. Ma quando alla protagonista non sarà più concesso di godere di tale estasi estetica a causa del male che ha, deciderà in autonomia la sua fine, innestando il bello anche in essa.
“Ci sono molti modi di vivere una tragedia”.
Martha (come il titolo di un film di Fassbinder, tra le ossessioni almodovariane) ha un tumore allo stadio finale, dopo anni di assenza ritrova Ingrid, un’amica del passato (Ingrid come la Bergman, citata nel film). La prima è una reporter di guerra che non ha più rapporti con la figlia, la seconda è una scrittrice terrorizzata dalla morte. Per ironia della sorte Ingrid si troverà proprio faccia faccia con la morte, Martha le chiederà di stare con lei durante i suoi ultimi giorni di vita prima di ingerire la pillola mortale.
“La stanza accanto” è il film più politico di Almodóvar. Le sue prime opere erano politiche anche se non lo sembravano, erano scatenate ed ironiche, sregolate, provocatorie ed eccessive, questo perché la Spagna usciva dalla repressione della dittatura franchista e quindi i suoi lungometraggi erano colmi di suore tossiche, di travestiti, di gay che vivevano liberamente la loro omosessualità, di gruppi di amiche dedite al pissing e al sadomasochismo, di preti pedofili… Anche “Madres Paralelas” era politico nel mostrarci il dramma dei desaparesidos. Almodóvar sa che il mondo è in guerra e il suo è un film di guerra. Quella che ha dilaniato la mente del fidanzato di Martha, quella che Martha vive tutti i giorni come reporter, quella tra Ingrid e la morte, quella tra Martha e la morte, quella tra Martha e la figlia…c’è vita nella morte, c’è morte nella vita.
L’utopica solidarietà femminile che Pedro propone in ogni suo film qui viene più che mai esaltata ed incarnata dal personaggio della Moore che aiuta la sua amica spinta da tutta una serie di motivazioni: le vuole bene in nome del passato condiviso insieme, probabilmente c’è qualcosa di omoerotico tra loro, vuole finalmente affrontare di petto la sua più grande paura.
Almodóvar ha a disposizioni due grandi attrici e mette la macchina da presa totalmente al loro servizio. Diminuisce nei dialoghi il classico campo e controcampo e privilegia il piano d’insieme inserendo nella medesima inquadratura entrambe le interpreti, le espressioni e le reazioni delle due sono fondamentali e vanno scrutate ininterrottamente dallo spettatore. La messa in scena è geometrica, bergmaniana, pittorica. I colori sono fiammeggianti e abbacinanti. Il rosso, il giallo, il blu e il verde governano le scene. Ogni colore rappresenta uno stato d’animo. La Swinton indossa un pullover a righe gialle, rosse, blu e verdi, in lei convivono un groviglio di emozioni. Il blu è il colore della fedeltà e rappresenta un rapporto stabile (Ingrid si lascia completamente andare con Martha, tra le due la fiducia è totale), il rosso è il colore tipico di chi vive il qui e ora (Ingrid è costretta a farlo, non ha futuro), il giallo tende a generare sensazioni negative ma anche l’ottimismo (Martha soffre fisicamente per la sua malattia ma ha slanci di positività e decide di morire proprio indossando uno stupendo abito giallo). Ingrid invece ha un maglione verde durante l’interrogatorio della polizia dopo il suicidio dell’amica. Le forze dell’ordine sospettano che abbia aiutato Ingrid a spirare, ma la donna risulta calma e controllata, il verde infatti è il colore della rilassatezza.
La soundtrack del fidato Alberto Iglesias cita Hitchcock soprattutto quando Almodóvar innesta nella narrazione una tensione quasi da thriller dovuta al suicidio della protagonista (quando avverrà? Ogni mattina Ingrid potrebbe trovare l’amica morta). Le citazioni hitchcockiane culminano con l’arrivo della figlia di Martha che è interpretata sempre dalla Swinton: “La donna che visse due volte”.
Quello dello spagnolo è un cinema che film dopo film cambia rotta, affronta temi nuovi, muta lingua, si sposta dalla Spagna all’America…ma rimane comunque sempre fedele a se stesso e a una stoica e personale idea di cinema, dove ritroviamo la supremazia femminile, i rapporti conflittuali tra madri e figlie (“Volver” e “Julieta” su tutti), l’indeterminazione maschile e quel manierismo tecnico che enfatizza la drammaticità delle situazioni ma che in alcuni momenti, soprattutto in “La stanza accanto”, viene raffreddato da una regia chirurgica e scarna.
Almodóvar ha ormai la potenza dei grandi registi classici della storia.
La morte è bella.
09-Dec-2024 di Emanuele