
Recensione di Beatrice On 26-Jun-2024
Ogni problema tecnico può essere risolto se ci sono abbastanza tempo e denaro. Corollario: non c’è mai abbastanza tempo e denaro.
Souleymane è un rider africano: tra due giorni ha il colloquio che gli consentirà di ottenere l’asilo richiesto e i documenti.
Deve prepararsi per sostenerlo anche se lui non chiede l’interprete, parla un buon francese.
Si muove per tutta la città per effettuare i ritiri e le consegne di cibo ma deve usufruire di un account affittato a 120 euro a settimana compreso il conto corrente sul quale vengono accreditati i pagamenti.
E’ circondato da persone, anche connazionali, che approfittano di questa situazione e chiunque gli chiede soldi per offrirgli servizi di cui ha bisogno.
Se da un lato si coglie la solidarietà tra colleghi dall’altro si evidenzia quanto il sistema produca elementi parassitari che sopravvivono della burocrazia alla quale sono sottoposti i rifugiati.
Nessuno ha tempo per aiutare chi ha bisogno e anche lui, data la vita frenetica e alienante che conduce si troverà a non avere tempo da dedicare a chi si trova nella sua stessa condizione.
Sappiamo poco di questo ragazzo, quello che emerge è la sua pacatezza, la sua resistenza inarrestabile nonostante la quotidianità sia invivibile.
Tutto si svolge a Parigi, in due giorni, nei quali oltre al lavoro si evince anche il servizio di welfare state previsto per questi rifugiati che possono usufruire di dormitori, mense, servizi.
Ovviamente tutto rappresentato come un meccanismo che ha necessità di garantire un sistema che garantisca la schiavitù della nuova classe operaia.
Nessuna rappresentazione dell’odissea del viaggio che ha portato il ragazzo in Francia, dopo essere passato per la Nigeria, il Sahara, la Libia, l’Italia e poi la Francia, del quale verremo a conoscenza solo in sede di colloquio finale.
L’estenuante trascorso del viaggio si ripresenta tutti i giorni nella quotidianità parigina, dove regna l’indifferenza più totale, la speculazione, lo sfruttamento, il cinismo degli esercenti, l’indifferenza dei clienti.
Un film che ti sfianca, nonostante tu sia seduto su una comoda poltrona:
Souleymane corre tra una consegna e l’altra, tra un ritardo e l’altro, tra il riconoscimento facciale dell’account dal parte dell’affittuario,
tra il viaggio in metro e la prenotazione del bus per migranti per raggiungere il dormitorio, tra un incidente e l’altro, tra la cliente che non accetta il pacco perché stropicciato e questo gli farà chiudere l’account peraltro non suo, senza il quale non può lavorare, tra la memorizzazione del discorso preconfezionato da uno speculatore e la realtà dei fatti più drammatica della fantasia.
Souleymane è lotta e resilienza, è ricerca di trasformare la truffa della vita in una vita da reinventare, perché ha un obiettivo che sapremo solo poco prima dei titoli di coda, quando gli viene richiesto, per la prima volta di parlare in modo sincero, forse, e si spera forse, perché c’è qualcuno che lo sta valutando con un minimo di capacità di ascolto.
Le mistificazioni alle quali è stato indottrinato sono standardizzate ma lui non sa che solo la sua vera storia potrebbe salvarlo.
Il relativismo dei destini di questi ragazzi è estremo e la capacità di questo film di rappresentarlo è radicale: le contraddizioni socio economiche all’interno della società contemporanea marcano l’accento sulle ingiustizie strutturali e sulle disparità di potere che permeano la realtà quotidiana.
Non è solo il lungo viaggio quello che dovranno affrontare sopravvivendo o meno ma tutto quello che dovranno vivere una volta arrivati.
Il regista Boris Lojkine utilizza una narrazione visiva intensa e realistica per trasmettere la disperazione e la determinazione dei rifugiati, evidenziando le implicazioni umane e politiche di un fenomeno globale sempre più rilevante.
Con Tori e Lokita dei Dardenne avevamo vissuto questo dramma, qui Tori è cresciuto e Lokita sappiamo che fine ha fatto.
Una critica incisiva al sistema capitalistico globale attraverso il quale le forze economiche dominanti perpetuano il ciclo di povertà e oppressione, la disumanità dei carnefici che si ritorce sulle vittime consentendo e alimentando il circolo vizioso della crudeltà acefala, generalmente inconsapevole ai più.
Il sistema inarrestabile distoglie lo sguardo dal carattere afinalistico:
L’etica difronte alla tecnica, diventa pat-etica: non si è mai visto che un’impotenza sia in grado di arrestare una potenza. Il problema è: non cosa possiamo fare noi con gli strumenti tecnici che abbiamo ideato, ma cosa la tecnica può fare di noi.
26-Jun-2024 di Beatrice