
Recensione di Beatrice On 28-Jan-2024
Quanto più grande il potere, tanto più pericoloso l’abuso.
Diego e Elena prendono il volo per New York per poi passare alla coincidenza per Miami.
Un volta arrivati al primo aeroporto, vengono fermati e fatti sostare a lungo in uno spazio di controllo con tempi indefiniti.
Non vengono informati di quello che sta accadendo e chiunque si rivolge loro lo fa in modo perentorio senza alcun riguardo alle loro esigenze più elementari.
Inizia un primo interrogatorio burocratico attraverso il quale vengono richiesti una serie di documenti che i due ragazzi hanno accuratamente preparato e nonostante la prontezza sembra sempre mancare qualcosa.
Si procede ad un altro agente di frontiera che rivolgerà loro domande su informazioni private e intime difronte alle quali l’urbanista venezuelano Diego pazienta, cercando di mantenere il controllo della situazione, mentre la ballerina di danza contemporanea Elena scalza con impazienza.
La replica della addetta alla sicurezza non concederà alcuna reticenza né resistenza.
Non c’è possibilità di difendersi difronte all’isolamento (viene imposto loro di spengere i cellulari e riporli in valigia), né di schermarsi davanti a peccati veniali, accuse e violenze psicologiche intollerabili.
Si passerà ad un interrogatorio separato dei due conviventi mettendo in subbuglio drasticamente la fiducia reciproca e il sogno della realizzazione di un nuovo progetto di vita insieme.
17 giorni di riprese, 77 minuti di tensione per l’opera prima di due registi venezuelani: la costruzione di un thriller psicologico/politico/sociale che non concede pause; si rimane incollati alla poltrona.
Il film prende spunto da esperienze vissute personalmente, laddove la discriminazione nei confronti dei migranti che entrano in Usa, il sequestro aeroportuale, le rivendicazioni comportamentali autoritarie, il terrorismo psicologico, l’abuso di potere, l’arroganza si ergono difronte alla vulnerabilità, lo sconcerto e il senso di impotenza.
Il fermo al quale vengono sottoposti Elena e Diego suscita un disagio destabilizzante, quello di chi ha la percezioni netta di subire una ingiustizia e non avere la possibilità di reagire se non peggiorando la situazione.
Una frustrazione invadente, vessatoria, insinuante, subdola e violenta: un processo subito fuori da un’aula di giustizia senza potersi appellare ad alcuna difesa e senza poter ricorrere ad alcun avvocato d’ufficio.
Per i registi Rojas e Vasquez anche sceneggiatori, quello spazio ristretto che simboleggia il potere e impone agli individui di rimanere lì, fermi in un non-luogo è semplicemente quello che succede nella realtà nella quale ciò che accade è spesso più grave di quello che si vede nel film.
Le stanze buie e rumorose dell’aeroporto divengono ufficio dell’inquisizione, dove sebbene i documenti risultano regolari c’è chi riesce ad esercitare il dubbio e ad insinuare quell’atmosfera di sfiducia così lontana dalla coppia di stranieri eppure così ben orchestrata dal ricondurli ad una esperienza senza ritorno.
Un non-luogo claustrofobico, tutt’altro che di passaggio… dove si esercita un potere sadico e disumano dove il gusto della umiliazione e il sapore del disprezzo sono semplicemente il ritratto di chi si sente investito di un diritto quello dell’esercizio della assenza totale del rispetto per una coppia che rappresenta “semplicemente”, una parte, tutt’altro che minoritaria di umanità se non per quei diritti riguardanti la democrazia, la libertà, l’uguaglianza.
La sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini
28-Jan-2024 di Beatrice