
Recensione di Beatrice On 09-May-2023
Urla.
Si chiamano Jacques e Dalva mentre qualcuno, sta cercando di separarli.
Sono i servizi sociali e la polizia, che porterà Jacques in carcere e Dalva in un centro per minori.
La dodicenne ha orecchini, acconciatura e abiti da donna e quando Samia la vede entrare, la soprannomina Barbie.
Viene sottoposta ad una visita medico/ginecologica.
Le viene rivelato che il Pubblico Ministero sta difendendo i suoi diritti perché il padre può costituire un pericolo.
Per sette anni, da quando ne aveva cinque è rimasta in casa senza avere contatti con altri bambini, il padre l’ha rapita alla madre e si è sempre spostato con lei per non farsi trovare, fino a quando qualcuno lo ha denunciato.
Dalva non comprende, vuole capire cosa sta succedendo e vuole assolutamente vedere il padre.
E’ ostile, cerca di fuggire e continua a vestirsi come una donna…
Chiede perché un padre e una figlia non possono amarsi e le viene spiegato che c’è differenza tra amare e fare l’amore.
Dai suoi coetanei viene a sapere che il padre è accusato di rapimento e incesto ma lei non sa cosa sia l’incesto.
Il padre si trova a Reims ed è in attesa di processo.
Le fanno incontrare la madre che aveva sporto denuncia per rapimento mentre Dalva sapeva di essere stata abbandonata.
Samia, la scuote, la protegge, la ama a modo suo, lei che riconosce al tempo di tre sigarette quello che occorreva alla madre, prostituta, per intrattenersi con i clienti.
La mancanza di autonomia delle piccola “lolita”, anche nella scelta degli abiti e la scena della visita al padre in carcere sono un pugno allo stomaco che rivela l’assoluta incapacità di capiredella bambina, manipolata, abusata, raggirata, violata dal padre pedofilo.
Lasciato dalla madre di Dalva, aveva costruito e sostituito la partner, ricostruendo attraverso la figlia un succedaneo alternativo.
Tuttavia Dalma, sempre oggetto, mai soggetto del desiderio, non riesce a comprendere; fugge, soffre, digiuna e si chiude nell’armadio. Ci vorrà molto tempo per consentirle di elaborare qualcosa di troppo grande per chiunque ma soprattutto per lei.
Un opera prima sorprendente, tratta un tema ostico in modo assolutamente inesplorato: quanto un modo di crescere, vivere, amare, essere amati può confondere radicalmente cosa sia buono o cattivo da vivere.
Il racconto di una sistematica circonvenzione di minore durata sette anni, un efferato controllo eterodiretto che incute la propria malata visione del mondo come fosse l’unica.
L’impossibilità di capire il male che si riceve durante l’esperienza di abuso e pedofilia è magistralmente rappresentato. Diventare l’oggetto di riferimento del “riconoscimento”, dell’”attenzione”, dell’”importanza” di un adulto, allontana e spesso rimuove il sospetto, acuendo innocentemente la convinzione che sia tutto “normale”.
E mentre Dalva che “non ha mai pensato a cosa avrebbe fatto da grande” perché lo era diventata a sua insaputa, incapace di intendere e volere cosa fosse… inizia a recuperare uno spazio lacerato e un tempo interrotto da una brutalità feroce e malata.
Non è mai la virtù, ma sempre il vizio a dirci chi è di volta in volta l’uomo.
09-May-2023 di Beatrice