
Recensione di Emanuele On 07-Oct-2024
La vita è un palcoscenico
Nel 2019 Todd Phillips consegnò al mondo la sua versione di Joker, un film a suo modo rivoluzionario. Un'opera che riusciva a far convivere con sapiente equilibrio cinema derivativo, art house, cinecomics, il colto, il popolare. 5 anni dopo le menti di Phillips e dello sceneggiatore Scott Silver hanno partorito "Joker: Folie à deux", un sequel intelligente e spiazzante. Intelligente perché tradisce il primo pur attuando nuovamente la commistione tra cinema alto e cinema basso, aggiungendo questa volta segmenti musicali. Gli squarci musical, abbondanti e realizzati in maniera grezza, quasi a voler sovvertire la fiammeggiante messa in scena di quelli degli anni '50 e '60, sono proiezioni mentali del protagonista. Come la Selma di "Dancer in the dark" anche Arthur immagina la sua vita come in un vecchio musical e come lei lo fa per astrarsi dalla brutale realtà in cui vive.
"Folie à deux", introduce nella narrazione un personaggio femminile apparentemente marginale. Harley è in realtà la rivisitazione in chiave moderna della femme fatale del cinema classico. Manipolatrice, psicotica, bugiarda. È la rappresentazione dell'amore come forza non salvifica. Per Phillips l'amore è un'infezione, un' allucinazione. Arthur inizialmente è una larva rinchiusa in una struttura psichiatrica, l'incontro con Harley e il conseguente repentino innamoramento, si faranno per lui la possibilità di mitigare un' enorme solitudine. Il loro rapporto si trasformerà in un caleidoscopio incontrollabile di sprazzi romantici, astrazioni, finzioni, proiezioni. L'amore come inganno, come fosse un atto di idolatria. Harley ama Joker, non Arthur, desidera la sua immagine pubblica, è probabilmente una sociopatica che vuole vivere lontana dalla realtà, in un universo fantastico. E quale genere è più irreale e fantasioso del musical? (geniali Phillips e Silver!). Il musical utilizzato come rappresentazione della psiche distorta dei protagonisti. Iperrealismo e canzoni, i loro volti tumefatti e struccati ad un certo punto verranno imbrattati dal trucco che li trasformerà nei loro doppi. Il tema del doppio predomina tutto il film, sin dalla prima magistrale sequenza di animazione in cui Joker lotta contro la sua ombra. Immagine pubblica e privata, tra le due l'abisso. Harley desidera l'idea che si è costruita di Arthur, ma quando la maschera dell'uomo cade (in questo secondo capitolo viene attuato un processo inverso rispetto al primo, lì Arthur diventava Joker, qui Joker ritorna Arthur), la donna lo abbandona lasciandolo nella disperazione. I due volevano costruire una montagna da una piccola collina, da brividi la sequenza in cui Gaga canta al pianoforte "Gonna build a mountain" di Sammy Davis Jr e Phoenix balla il tip tap, intermezzo musicale furoreggiante che sottolinea l'euforia dell' innamoramento, ma a smorzare tale gioia, nel momento della fine della loro storia, arriverà una struggente versione in inglese di "Ne me quitte pas" di Brel.
L'amore è una grave malattia mentale come disse Platone.
Le vite di Arthur e Harley sono alla continua ricerca dello spettacolo, nel loro caso non è solo un insieme di immagini ma è un vero e proprio rapporto sociale/amoroso mediato dalle immagini. "Joker: Folie à deux" rimarca il concetto del filosofo Debord che parlò della realtà che sorge nello spettacolo, e di come lo spettacolo sia reale. Nel caso dei personaggi la realtà è generata dalla loro psiche frammentata. Ancora l'amore visto come estremo atto illusorio.
Claustrofobico, costruito per lo più su una serie di asfissianti primissimi piani , ambientato in pochi ambienti e con rare sequenze in esterni, il film è una specie di anti musical e di anti "La La Land".
07-Oct-2024 di Emanuele