ITACA IL RITORNO THE RETURN

Uberto Pasolini

1h 56m  •  2024

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Recensione di Beatrice On 21-Jan-2025

Il ritorno è una perdita sottile, un rimpianto che non si può né dimenticare né accogliere.

Un atto audace di rielaborazione del mito omerico, confrontandosi con uno degli episodi più noti dell'epica occidentale: il ritorno di Ulisse a Itaca. Prendendo a prestito il materiale classico degli ultimi dieci libri dell’Odissea, Pasolini non si limita a narrare una semplice vicenda di riconciliazione, ma plasma un'opera che rinuncia al grandioso respiro della mitologia per concentrare l'attenzione sul dramma umano, privato, e per certi versi quotidiano. La sua versione non si fa più veicolo di un viaggio eroico tra mostri e dèi, ma si trasforma in una riflessione sul ritorno stesso, sul peso delle attese e sul disincanto di una generazione che ha smesso di credere nel mito.

Una disamina critica dell'eroe, un'incursione psicologica e filosofica nel cuore di Ulisse, un uomo che ormai non ha più nulla da dimostrare, ma che è comunque chiamato a riprendere il suo posto, in una società che non lo riconosce più. Il regista si allontana dall'epica grandiosa per fare della figura di Ulisse un essere umano sfinito dalla guerra, segnato da un disturbo post-traumatico che lo rende incapace di provare qualsivoglia bramosia di potere o gloria. Qui Ulisse non è più l’eroe che brama la battaglia, ma l’uomo che ne è stato segnato in modo indelebile. La guerra, che dovrebbe segnare la fine della sua odissea, è piuttosto il filo che continua a separarlo dalla sua casa, la sua famiglia, e persino dalla sua stessa identità.

Il personaggio di Ulisse è un uomo che ritorna a Itaca come se vi tornasse in esilio, non per riprendersi ciò che gli spetta, ma per trovare una forma di redenzione, una pace che sembra impossibile da raggiungere. In un corpo indurito dalla fatica, trasmette la frustrazione di un eroe che non ha mai avuto il tempo di smettere di combattere. La scena in cui Ulisse uccide i Proci non è quella della grande vendetta del mito, ma una messa in scena scomoda, quasi passiva, che riduce la violenza a un atto di stanchezza, a una necessità insopportabile, tanto che lo scontro sembra quasi non avere senso. Il sangue versato non è un trionfo, ma la testimonianza di un eroe che, come una marionetta, è costretto a riprendere il suo ruolo, non più da protagonista, ma come semplice esecutore di un destino che non ha scelto.

In questo processo, Ulisse diventa anche una figura ambigua, dove la sua saggezza non è mai separata dalla sua umanità, che si svela in tutta la sua fragilità. È un uomo che deve imparare a riconoscere i propri limiti, a fare i conti con la fatalità e, al contempo, a sfidare l'ineluttabilità del destino. Il suo ritorno non è solo una fine, ma un compimento del suo cammino interiore. È nella sua casa che egli affronta davvero sé stesso, non attraverso il ritorno a una condizione precedente, ma nel superamento di ciò che era, nel riconoscimento che l'essenza del ritorno è un continuo mutare.

Se Ulisse è l’eroe che ha perso ogni slancio epico, Penelope, interpretata con una profondità inattesa da Juliette Binoche, è la figura che incarna la resistenza. La sua Penelope non è solo la donna che aspetta, ma una donna che combatte contro le convenzioni del suo tempo, che disprezza la guerra, la violenza e la figura dell'eroe vittorioso, capace solo di sopravvivere a orrori incomprensibili. La sua lotta è quella di chi ha imparato a riconoscere l’inutilità della guerra e la sua perenne, immanente presenza nella vita di ogni uomo. Non c'è più il mito della fedeltà assoluta, ma una consapevolezza lucida che, anche una volta vinta la guerra, la violenza e la distruzione non finiscono mai di infestare le esistenze umane.

Il film di Pasolini si chiude su una nota specifica che non celebra il ritorno fisico, ma il ritorno esistenziale, nel gesto che trascende la carne e si trasforma in una comunione di esperienze e sofferenze. Quando Penelope si prende cura di Ulisse, lo fa non solo con il corpo, ma con la sua presenza, con la sua capacità di ascoltare e accogliere tutto ciò che lui ha portato con sé, i suoi racconti e le cicatrici invisibili che il mare e il tempo hanno inciso sulla sua pelle. Il loro incontro non è una semplice riunificazione, ma un gesto di accettazione reciproca.

La storia di ciascuno è inestricabile da quella degli altri, dalle voci di chi li ha preceduti e di chi li seguirà. È la comunità umana, e la sua coscienza storica, che compone il fondamento di quel "ritorno" che non è mai solo individuale. Ogni Ulisse è, in fondo, una parte di un insieme più grande, un singolo frammento di un racconto che sfida la linearità del tempo, restituendo all'individuo l’infinito desiderio di trascendere, pur consapevole che tale trascendenza è sempre e solo un frammento di ciò che potrebbe essere.

The Return non è un film che guarda al mito come a una fiaba, ma lo recupera per metterlo a confronto con il dolore e l'insostenibile pesantezza dell'esistenza senza tempo. La sua potenza sta nell'abbattere la distanza tra l'eroe e l’uomo, tra la leggenda e la realtà, rendendo il mito omerico una riflessione sulla nostra stessa condizione di esseri umani, sempre in lotta con la memoria del passato, il peso della guerra e la ricerca di un senso di appartenenza che sfugge, per definizione, alla sua stessa realizzazione.

Tornare a casa è come riscoprire che il passato non è più lì dove l'avevamo lasciato.

21-Jan-2025 di Beatrice