IL CAPO PERFETTO EL BUEN PATRÓN

Fernando León De Aranoa

1h 55m  •  2021

il_capo_perfetto_movie_avatar

Recensione di Beatrice On 23-Jun-2023

Le leggi naturali non conducono a una completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo: l’accadere (all’interno delle frequenze determinate per mezzo delle connessioni) è piuttosto rimesso al gioco del caso.

Julio Blanco è il capo dell’ azienda omonima produttrice di bilance.

E’ sposato senza prole, sostiene i suoi figli siano i dipendenti invitati a raccontargli tutto: solo in questo modo potrà essergli d’aiuto.

Il film scandisce il ritmo di una settimana dopo la quale una commissione dovrà decidere, su tre aziende selezionate, quale riceverà il riconoscimento tanto ambito.

Julio è ossessionato da questo premio, gli altri ricevuti nel corso degli anni sono posizionati come reliquie preziosissime nella sua lussuosa villa.

E’ tormentato anche dalla presenza di un ex dipendente licenziato che pernotta con striscioni e megafono fuori l’ingresso dell’azienda, urlando slogan come “el plueblo unido jamas será vencido” e insulti in rima per l’ex padrone.

Nessun può intervenire legalmente, nonostante le richieste e Blanco dovrà pensare ad altre soluzioni…

Stagiste entrano e escono dall’azienda, con appartamenti a spesa del capo, stile “olgettine”, i segreti conosciuti e taciuti, le promesse e il paternalismo di Julio, padre padrone così “attento” alle loro problematiche, servono per utilizzare gli intrighi relazionali a proprio vantaggio.

La moglie è una donna imprevedibile: gli chiede cosa sta pensando e lui risponde sempre “niente” mentre lei replica che “è impossibile non pensare niente” e che lei sa “cosa pensa quando dice niente”.

Una donna ironica, sarcastica, attenta e particolarmente acuta.

Il gioco al quale lui sottopone i suoi dipendenti e lo stesso gioco al quale ricorre lei con il suo coniuge: gli ricorda, con una scansione perfetta dei tempi, alcuni aspetti che lui rimuove abilmente, come aver dimenticato di aver ereditato dal padre l’azienda, mentre dimentica cosa deve rammentargli per poi farlo apparentemente in ritardo ma in perfetta sincronia con l’accaduto.

E’ abilmente diabolica, simpatica e disincantata difronte alla mancanza di etica del marito, così paranoico e ossessionato dall’equilibrio delle bilance che produce.

La metafora, utilizzata nel film, della basculas simbolo della giustizia è perfettamente calzante con il progetto del lungometraggio; anche l’esplicito ricorso al principio di indeterminazione di Heisenberg evidenzia l’attenzione che la sceneggiatura e i dialoghi ripongono sullo sviluppo e il significato della storia.

Nella vita, come nella meccanica quantistica, non possiamo mai avere certezza di nulla; l’incertezza è la convinzione che molte delle cose che ci circondano non siano prevedibili, sfuggono al nostro controllo, o ancor peggio, siamo noi stessi ad alterarli con le nostre azioni.

Nel momento stesso in cui si misura qualcosa la si modifica e l’equilibrio di una bilancia può sempre essere compromesso.

Il film oscilla tra l’assolutismo paranoico e il relativismo etico del protagonista che si espone “ ingenuamente” a conseguenze legali e penali.

Un buon padrone come recita il titolo spagnolo, che gioca con le pedine umane sulla scacchiera aziendale, con leggerezza e ferocia, con una mania del controllo abnorme, una pervasività patologica, una semplicità paranoica.

Un film che organizza un crescendo strutturale, accompagnato da comicità e tragicità a tratti drammatiche e grottesche, il tutto con musiche travolgenti come la Dance of the Knights di Prokofiev.

Negli ultimi 30 minuti accade di tutto e il ritmo si fa sempre più eccitante.

Parafrasando Marx qui la storia si apre come commedia per ripetersi “prima come tragedia e poi come farsa”; il buon padrone diventa prima paternalista e poi boia fino a truccare la bilancia della giustizia e per trovare l’ “equilibrio” del capitalismo mentre il marketing aziendale insegue l’idea di fedeltà con la dea bendata.

La grande interpretazione di Bardem, aggiunge maschera su maschera al vero volto del protagonista, sempre più grottesca e deformata: un delirio di onnipotenza e di superiorità a tratti magnetico e seduttivo, perlopiù ipnotico e imbarazzante, che fa perdere il contatto con la realtà e con il suo corso naturale nonostante i tentativi di contaminazione.

Il gioco del gatto e del topo si ripresenta con circolarità: quello di Blanco con i suoi dipendenti e quello esilarante della moglie con il suo Julio…

Un gioco caustico e feroce si snoda con abilità imprevedibile durante i 115 minuti confezionati con maestria da Aranoa. Dopo I lunedì al sole, qui il sistema del mondo-lavoro-disoccupazione viene tratteggiato come in un thriller dark-comedy dove l’industria occupazionale è in mano alla perversione, alla spersonalizzazione e al deterioramento dei rapporti umani e di lavoro.

La formula merce/denaro/merce sostituita ormai da secoli dalla formula denaro/merce/denaro con l’assolutizzazione della logica del profitto, restituisce l’insignificanza della dialettica hegeliana servo-padrone a (s)vantaggio dell’operaio come merce.

Candidato all’oscar come miglior film straniero El buen patrón è il cinema che diverte, incuriosisce, travolge, inquieta, fa riflettere: Fernando Leon de Aranoa è un prestigiatore abile della macchina da presa, uno narratore accorto e sofisticato, un esperto chirurgo della sceneggiatura e del montaggio.

La scena finale un epilogo indimenticabile crudele e sordo a qualunque voce della coscienza, ma supino al revenge che brinda con un solido, denso, armonioso, pieno, lungo, persistente Chateau Lafite. Cheers!

Non è possibile determinare contemporaneamente un’idea di una donna e la velocità a cui tale idea cambierà.

23-Jun-2023 di Beatrice