
Recensione di Beatrice On 26-Jul-2023
O è il male ciò di cui abbiamo paura, o il male è che abbiamo paura.
Se incontri il lupo prendilo per fratello perché egli conosce la foresta
Italia 1813
Così esordisce questo film sulla paura:
La paura è la più antica e intensa delle emozioni
Noi tutti la rifusiamo eppure non c’è storia che non ne sia intrisa
Una croce pende mentre Orazio gioca a nascondino con la sorella e Giacomo, il fratello maggiore, afferma che la paura muove tutte le cose.
La madre è severa, ipercattolica e per combattere il male e chiedere perdono per il figlio poeta, pratica l’autoflagellazione.
Il primogenito si è appassionato al libro di Giobbe infatti ma soprattutto al pianto della natura di Torquato Tasso di Qual rugiada o qual pianto e intende scrivere una poesia alla luna, lui omonimo di Giacomo, proprio nato negli anni di Leopardi, affetto dagli stessi disturbi, innamorato anch’esso di Silvia, contempla il satellite nell’oscurità…
Per la madre la poesia è inutile e allontana dalla preghiera; il bestiame viene trovato morto e si parla della bestia, il canis lupus.
Arriva Scaiaccia, lo zingaro, vuole un compenso perchè dovrebbe aiutare a capire come catturarla e soprattutto di cosa si tratta, in quanto uccide ma non si ciba delle prede mentre sono tutti terrorizzati da questa presenza e c’è chi cerca rifugio nella fede, nelle superstizioni, nelle armi, ma c’è molto altro.
“Non vi basterà pregare”, dice lo zingaro, “incidete questo simbolo sulla vostra porta, le carni non possono essere mangiate, vanno bruciate” e a casa del conte, dove la contessa sostiene che Scaiaccia è un pagano e va allontanato, non si può giocare nella casa degli antenati e dai piani superiori arrivano continui rumori e c’è il quadro di un antenato che compare e scompare…
Il contessino Giacomo legge Henry Boguet con le sue tesi sulla stregoneria e dopo un uscita in paese di tutta la famiglia, dove il primogenito si è avvicinato alla contadina Silvia, la madre ritorna alla sua attività di autoflagellazione davanti al crocifisso, con le candele accese.
Lo zingaro fa proseliti e vende talismani mentre il conte ne brucia uno trovato alla governante Marta insieme al libro di Boguet.
“Il nostro stemma è un faro per la comunità e noi dobbiamo essere luce per loro… non c’è cammino più luminoso di quello della ragione” sostiene il conte.
Tra il populismo dello zingaro e l’apparente “illuminismo” del conte, considerato un uomo di scienza, il potere si nutre di paura e la usa a proprio vantaggio.
D’altronde come sostiene il contessino “la paura muove tutte le cose”… “ e senza di essa la storia sarebbe priva di interesse”.
E Scaiaccia rivolgendosi a Silvia che non gli crede mentre la comunità è tutta dalla sua parte dice, indicandole l’occhio cieco: “Non è stata una bestia feroce a farmi questo, voi avete dimenticato la legge del cuore e della carne, pensate di avere il controllo con la vostra cieca e disperata fede nascosta sotto le vostre buone parole, libri e nelle cose più assurde, ma dalla paura non si scappa…”
Ecco che il film sottolinea, attraverso le parole dello zingaro anche l’ambivalenza del rapporto che l’uomo stabilisce con il sacro: da un lato lo teme come si può temere ciò che si ritiene superiore e che non si è in grado di dominare e dall’altro ne è attratto come si è attratti dall’origine da cui un giorno ci si è emancipati. “Il sacro,” come insegna Galimberti, è una dimensione perdurante nella condizione umana, può essere rimosso, invocato, temuto, dimenticato addirittura, ma opera comunque. Per difenderci dal sacro sono nate le religioni, le quali, non sono dimensioni che ci mettono in rapporto con il sacro bensì fanno un’operazione di contenimento.
“L’oscurità è spaventosa, accoglierla o rifuggirla, quello è una tua scelta” sostiene Giacomo, mentre il prete, mette in guardia dallo zingaro.
Ognuno ha il suo potere con il quale giocare, la paura è il fertilizzante del populismo per il quale il miglior comandamento è : ABBI PAURA E TACI!
“hai mai avuto paura?
Ti ricordi quando eri bambino, ti sei mai domandato perché ti piacesse tanto quel gioco?
C’era sempre chi inseguiva e chi correva a nascondersi e trattenevi il respiro e pregustavamo gli attimi prima dell’inevitabile
E la cosa che più ci spaventava era la cosa che più anelavamo”…
La paura muove tutte le cose, noi tutti la rifuggiamo eppure non c’è storia che non ne sia intrisa
La Principato ci dispone così davanti al suo incisivo concetto di paura, come una delle principali fonti di superstizione, di crudeltà e di sottomissione: come forza modellatrice seconda solo alla natura stessa, con la sua capacità di governare il genere umano.
Elias Canetti sosteneva che “di tutte le cose del mondo, nulla si evolve e si trasforma meno della paura”, perché quello che l’uomo vuole al di sopra di ogni cosa è la sicurezza per la quale siamo capaci di barattare anche la nostra felicità.
Un sofisticato lungometraggio, erudito e raffinato, si erge sul promontorio della paura per ridicolizzarla e farne un concetto sul quale è obbligatorio riflettere per individuarne il pericolo, la strumentalizzazione demagogica, l’uso che il potere ne fa a scapito della nostra razionalità ma soprattutto della sacralità del tutto.
Ci sono pochi mostri che giustificano la paura che abbiamo di loro, tuttavia la nostra paura del peggio è più forte del loro desiderio del meglio.
La società, la chiesa, lo stato, vogliono che tutti vivano in una condizione di paura costante: la paura del conosciuto, la paura di ciò che non si conosce, paura della morte, paura dell’inferno, paura di non andare in paradiso, paura di non lasciare il tuo nome nel mondo, paura di non essere nessuno. Tutti dalla tua nascita creano paura intorno a te. Nessun bambino è nato con la paura.
26-Jul-2023 di Beatrice