FRANCE

Bruno Dumont

2h 13m  •  2021

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Recensione di Beatrice On 23-Jun-2023

Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra persone, mediato da immagini.

France de Meurs è una nota giornalista televisiva, conduce una vita frenetica tra dirette e servizi di guerra in paesi lontani. La sua assistente, grottesca e superficiale, la incoraggia continuamente con aggettivi grossolani e banali.

Un incidente stradale con un rider sembra scuotere l’incrollabile equilibrio di France sia nella vita privata che in quella pubblica.

Incapace di atteggiamenti materni verso il figlio e sentimentali verso il compagno, vive con loro in una casa maestosa, con imponenti opere d’arte alle pareti e arredi da riviste luxury estate.

Dalle prime scene il successo della giornalista sembra indiscutibile; continuamente celebrata, adorata, ostenta un distaccato cinismo in un ingranaggio, quello dei media, che sembra cancellare la demarcazione tra realtà e finzione costruendo tuttavia una nuova realtà del mondo.

Look coloratissimi, lipstick magenta, abiti Dior, cene di gala e domande sul capitalismo.

Lo spettacolo è il capitale a un tal grado d’accumulazione da divenire immagine.

Servizi in zone di guerra completamente ricostruiti a tavolino si alternano a resort di lusso sfrenato.

France, decide comunque di lasciare la tv e di iniziare una nuova vita, almeno per un periodo di tempo; desidera essere trasparente e anonima.

Tornerà a presenziare servizi di guerra e fatti di cronaca; cercando di fare del suo meglio, sembra tuttavia non credere più ad alcun ideale, ritiene tutto morto tranne il presente.

Un film che miscela continuamente finzione e realtà al punto da renderle indiscernibili. Il mondo “reale” dice Dumont viene violentemente scosso da quello quasi parallelo delle reti media e social. Non c’è più proporzione, né differenza naturale, tutto è spettacolo di una realtà ricostruita e distorta.

La linea di demarcazione tra fatti e finzione è stata cancellata ed è proprio per questo che France, quando incontra l’incidente viene ricondotta al reale e perde il controllo.

Lei che sembra inscalfibile, sanguina fragilità: è talmente integrata nell’ingranaggio del sistema (dis)informativo che non ha più lo sguardo adatto per individuare le differenze.

L’industria di massa del settore mediatico rende i giornalisti schiavi di questa trasfigurazione, servi di un sistema industriale ideologico e commerciale.

La “realtà” direbbe Platone è già la copia del mondo delle idee e quello dei media è la copia della copia, diseducativa in quanto flebile riflesso, colpevole di creare ancor più disordine e sviare l’uomo dalla ricerca della verità.

France più che una professionista dell’informazione sembra un prodotto, l’allegoria di sistema mediatico che costruisce la rappresentazione piuttosto che ritrarla, con la finalità di sfruttare gli eventi dell’attualità come fonte di indottrinamento.

Per Dumont, mentre la povertà culturale, causa di tutto, si sta diffondendo come una peste, la cultura dell’intrattenimento è divenuta totale.

La finzione è globale, tutto è cinema televisivo o tv cinematografica e France è spietata e ingenua, crudele e commovente, padrona e serva, sadica e masochista, alienante e alienata. Non sembra reale come nulla sembra tale intorno a lei, neanche la sua esistenza così virtuale sebbene sacrificale.

Gli spettatori sono incatenati nella caverna Platonica e ciò che vedono sono solo ombre mentre France, che non ha alcuna coscienza morale, cerca di venire a patti con le contraddizioni della sua condizione.

In questa barbarie mediatica ognuno prende la forma della propria funzione, spettatore compreso.

La rappresentazione di una disonestà ontologica con l’esclusiva finalità di raggiungere i propri obiettivi, a costo di qualunque mezzo.

La società dello spettacolo di Guy Debord ( 1967), che descrive la moderna società delle immagini come una mistificazione volta a giustificare i rapporti sociali di produzione vigenti, sembra il codice teorico sul quale Dumont costruisce il suo lungometraggio di 133 minuti.

Lo spettacolo non è un sistema di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini, una visione del mondo che si è oggettivata.

Non bisogna tuttavia pensare, per Debord, che lo spettacolo sia semplicemente irreale; esso come inversione del reale è effettivamente realtà, la cui spettacolarizzazione prenderebbe il posto della religione, fungendo da guardiano del sonno dalla società moderna incatenata di cui è il cattivo sogno.

E mentre la religione si impone come fonte di divieti, lo spettacolo di Debord mostra all’uomo ciò che può fare dove il permesso si oppone assolutamente al possibile, come il tempo libero di Adorno dei Minima Moralia, è eterodeterminato.

Pertanto NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE OCCIDENTALE

Il nostro tempo preferisce l’immagine alla cosa, la copia all’originale, la rappresentazione alla realtà, l’apparenza all’essere. Ciò che per esso è sacro, non è che illusione, ma ciò che è profano, è la verità.

23-Jun-2023 di Beatrice