
Recensione di Beatrice On 01-Feb-2025
L'uomo può credere all'impossibile, ma non crederà mai all'improbabile.
"Diva Futura" ci immerge nelle ombre e nei riflessi di un’epoca che fece della libertà sessuale una frontiera da esplorare e capitalizzare. Il film non si limita a evocare il sogno dell’amore libero che permeò gli anni Settanta, ma ne racconta l’evoluzione, il progressivo assorbimento nei meccanismi del mercato, e infine la sua disillusione.
Nel cuore di questa narrazione si staglia la figura di Riccardo Schicchi, non come mero impresario, ma come sacerdote involontario di una rivoluzione estetica e culturale.
Cresciuto come un bambino spesso bullizzato, incapace di identificarsi con il mito del supermacho, fu educato dal padre a osservare la bellezza femminile con un cannocchiale, sviluppando un’idea del desiderio non legata al dominio ma all’adorazione. Questa visione lo accompagnerà per tutta la vita, portandolo a considerarsi amorale, ma non immorale.
Schicchi emerge come una figura eccentrica e visionaria, circondato da gatti, conigli e persino un serpente, cui riserva una cerimonia funebre dopo che un topo gli ha divorato la testa. La sua casa è un microcosmo surreale, dove il confine tra realtà e rappresentazione si fa sempre più labile. Il suo sguardo sul mondo dell’erotismo è quello di un uomo che, pur immerso nel mercato del desiderio, cerca di preservarne una dimensione artistica e poetica. Non a caso, affermava con amarezza che Internet avrebbe distrutto tutto, cancellando la professionalità e trasformando l’erotismo in un meccanismo di controllo delle masse, privo di poesia.
Secondo la regista, il suo operato conteneva, forse inconsapevolmente, un messaggio di emancipazione: un gioco irriverente che sottraeva il corpo femminile alla mortificazione per la sublimazione, trasformandolo in icona di desiderio e potere mediatico.
Le protagoniste di questa epopea, dive intrappolate nel confine dell’erotismo imposto dalla società, si muovono tra il fulgore televisivo e il limite invalicabile della propria immagine. Moana Pozzi enigmatica e sfuggente, ambisce a essere riconosciuta come intellettuale e politica, ma il suo tentativo di affrancarsi dal ruolo assegnatole si scontra con il suo narcisismo/esibizionismo e con il cinismo del pubblico e delle istituzioni. Ilona Staller, coroncina postmoderna dai toni pastello, trasforma la propria trasgressione in manifesto politico, mentre Eva Henger attraversa l’ingenuità del sogno, la generosità, l’amore incondizionato per su marito, prima di scontrarsi con il lato oscuro dell’industria.
Al centro del racconto troviamo Debora Attanasio, la segretaria di Schicchi e testimone silenziosa di un’epoca irripetibile. La sua voce, tratta dal libro di memorie "Non dite alla mamma che faccio la segretaria", offre una prospettiva inedita: il ritratto di un universo visto non dall’interno, ma dalla sua soglia, con lo sguardo di chi osserva e annota. Attraverso di lei il film si interroga non solo sulla nascita di una mitologia popolare, ma anche sul suo declino, sulla lenta presa di coscienza delle sue protagoniste, ridotte a simboli ingombranti di un’industria che le ha glorificate e, infine, imprigionate.
Steigerwalt affronta il paradosso del porno come linguaggio e come serialità: una dimensione che, negli anni Ottanta, cercava ancora un equilibrio tra intrattenimento e provocazione, prima di essere fagocitata dalla violenza e dall’alienazione dell’industria. Schicchi e il suo mondo si muovevano su un crinale ambiguo: da un lato la volontà di smantellare ipocrisie, dall’altro l’impossibilità di sfuggire alle logiche di un sistema che, alla fine, riassorbe ogni ribellione trasformandola in merce.
Se Ilona appare come un personaggio fiabesco, con la sua estetica glicemica e disarmante, dietro la maschera resta una donna che ha combattuto battaglie politiche reali, cercando di spostare i confini della morale pubblica. La sua candidatura con i radicali di Marco Pannella e l’ingresso in Parlamento segnano un momento irripetibile della storia italiana: un tempo in cui la trasgressione si faceva militanza, mentre oggi, secondo la regista, il moralismo si accompagna a un’imbarazzante ipocrisia.
"Diva Futura" è il ritratto di un’ingenuità infranta: un momento storico in cui il desiderio sembrava poter essere sottratto alla vergogna, prima che il potere – mediatico, politico ed economico – lo risospingesse nell’ombra. La pellicola, con la sua ricostruzione minuziosa e l’uso sapiente del materiale d’archivio, è più di un racconto su un’industria: è la parabola di un’illusione collettiva, che ancora oggi riverbera nelle contraddizioni del nostro tempo.
La società capitalista riduce l'individuo a una mera unità produttiva o di consumo, anche nel dominio del corpo e della sessualità.
01-Feb-2025 di Beatrice