
Recensione di Beatrice On 15-Feb-2025
Il silenzio della sordità non è un vuoto ma uno spazio pieno di significati diversi.
Luogo idilliaco: acqua e rocce si intrecciano in un incanto naturale, dove il tempo sembra sospendersi. Angela e il suo compagno Hector si immergono insieme in quel paesaggio liquido che avvolge e trascende, in un silenzio che per lei non è un’assenza ma una condizione ontologica. Angela è sorda e ha scelto di esserlo pienamente, rifiutando fin da bambina i dispositivi acustici. Eppure, il suo silenzio non è isolamento: lavora, guida, si muove con autonomia in un mondo che troppo spesso confonde l’udito con la comunicazione.
La gravidanza porta con sé un entusiasmo che si mescola all’incertezza. La genetica pone una possibilità concreta: il loro bambino potrebbe essere sordo. Una probabilità del 50% che diventa interrogativo esistenziale. Per i genitori di Angela, questo dato non è neutro: dietro la loro perplessità si cela l’eco di una società che misura il valore dell’individuo attraverso parametri sensoriali. Ma per Angela e Hector l’amore è un linguaggio che prescinde dal suono, una sintonia che trova il suo codice nei segni, negli sguardi, nella presenza.
Hector diventa il ponte tra due mondi: la sua voce si fa gesto, traducendo la realtà per Angela con una dedizione che è al contempo amore e responsabilità. Il giorno del parto si rivela una prova estrema. La comunicazione diventa un campo di battaglia: mentre i medici parlano, Angela non può comprenderli e la barriera dell’inaccessibilità si fa concreta, tangibile. Quando Hector è costretto ad allontanarsi, lei reagisce istintivamente, strappando la mascherina alla ginecologa per poter leggere le labbra. Un gesto di resistenza, un rifiuto dell’invisibilità.
L’attesa del test dell’udito della piccola Ona si carica di ansia. Il liquido amniotico ha temporaneamente compromesso l’esito dell’esame, e l’incertezza pesa su Angela come un’ombra. Quando arriva il verdetto – Ona è udente – non è la liberazione che tutti si aspettano. C’è una distanza nuova, impalpabile ma incolmabile. La bambina piange spesso con la madre, mentre con il padre si calma. Un enigma relazionale che scuote Angela nelle fondamenta della sua maternità.
Ciò che prima sembrava naturale, ora è ostacolo. Il linguaggio, veicolo di connessione, diventa un confine. Hector continua a tradurre, a rendere il mondo accessibile alla compagna, ma il flusso della comunicazione si fa asimmetrico: Angela si sente sempre più ai margini, esclusa dal legame che si sta formando tra padre e figlia. Un senso di estraneità che si acuisce in ogni interazione, fino a trasformarsi in una ferita aperta.
La figlia, udente, cresce in un ambiente in cui il suono è la chiave d’accesso alle relazioni e al sapere. Il suo legame con la madre è profondo, ma segnato da una distanza difficile da colmare: le parole le vengono naturali, mentre la madre deve costruire ogni dialogo con fatica, cercando nelle espressioni e nei gesti una via per farsi comprendere. L’incontro tra le due non è impossibile, ma richiede uno sforzo costante, una volontà reciproca di trovare un terreno comune dove potersi riconoscere senza risentimenti né rimpianti.
Il non poter sentire non è solo un’assenza, ma anche una diversa modalità di percezione del mondo. La madre non è una prigioniera del silenzio, ma una testimone di una realtà parallela in cui la comunicazione si esprime attraverso altri canali. Il vero dramma non è il suo deficit, bensì la difficoltà di far comprendere alla figlia che esistono altre forme di espressione, altre vie per trasmettere emozioni e pensieri senza passare necessariamente dalla parola parlata.
Nel silenzio che avvolge la vita di una madre sorda si cela una tensione che va oltre la difficoltà comunicativa: è il confronto tra due mondi, quello dell’assenza di suono e quello della parola, due universi che, pur coesistendo, faticano a entrare in sintonia. La madre non vive solo un limite sensoriale, ma sperimenta quotidianamente la frustrazione di non potersi esprimere nella stessa misura della figlia, di vedere il proprio affetto tradotto in segni che l’altro fatica a decifrare.
La crisi esplode, e con essa il bisogno di comprendere. Un litigio, un distacco momentaneo, la spingono a osservare la propria esperienza da una prospettiva nuova. Tra i suoi amici sordi, scopre un riflesso della sua stessa inquietudine: un bambino udente, figlio di genitori sordi, che appare estraneo al contesto in cui cresce. Un’inversione di prospettiva che illumina il suo dolore: forse la difficoltà di Ona non è nel non sentire, ma nel non essere sentita. La comunicazione non è univoca, non è trasmissione ma creazione reciproca.
Il film, nella sua costruzione narrativa, enfatizza questa esperienza attraverso momenti di silenzio assoluto, soprattutto a partire dal minuto 80. Il pubblico viene trascinato nella dimensione della sordità non come mancanza, ma come modalità di esistenza. Un’immersione sensoriale che capovolge la percezione comune e costringe a una nuova modalità di ascolto.
Nel giorno del compleanno di Ona, Angela tenta un esperimento estremo: indossa gli apparecchi acustici di nuovo come fosse la prima volta. Ma il mondo si manifesta come un caos assordante, un’invasione di rumori amplificati che la travolge. L’udito non è necessariamente un dono, può essere un’alterazione violenta della propria esperienza percettiva. Il suo silenzio non è una prigione, è il suo modo di esistere.
Le interpretazioni impeccabili degli attori rendono ancora più intensa la dimensione esistenziale del film: ogni sguardo, ogni esitazione, ogni distanza tra i personaggi si carica di significato. La sordità non è solo un tema, ma un’esperienza che lo spettatore è chiamato a vivere con totale immedesimazione.
Eppure, alla fine, qualcosa cambia. Non si tratta di una soluzione definitiva, né di un superamento delle difficoltà. È piuttosto una trasformazione nella percezione. Angela e Hector scoprono un nuovo equilibrio, una nuova forma di dialogo che non è più solo traduzione, ma creazione comune. L’incontro tra due solitudini genera una possibilità inedita per Ona: non quella di scegliere tra due mondi, ma di abitarli entrambi con consapevolezza. Nessuno è completamente dentro o fuori dal contesto, nessuno è del tutto separato dagli altri. La comunicazione non è solo una funzione dell’udito, ma di molto altro.
Un nuovo inizio si profila all’orizzonte: una relazione che non si fonda sulla normalizzazione, ma sull’incontro/scontro delle reciproche differenze. In questo spazio Ona non dovrà scegliere tra due lingue, perché potrà viverle entrambe.
Il mondo è fatto di suoni per alcuni, di segni per altri, ma la comprensione è una questione di volontà.
Quando guardi la mia bocca il mio respiro si ferma
…quella ferita mi condanna senza riposo…
Bacio profondo e morte profonda che è sul tuo volto.
(Neskaren Kanto di Ana Arsuaga Verde Prato)
15-Feb-2025 di Beatrice