CONCLAVE

Edward Berger

2 hours  •  2024

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Recensione di Beatrice On 10-Dec-2024

La fede comincia là dove la religione finisce

La morte improvvisa di un pontefice venerato diventa l’innesco per un dramma in cui i cardinali, ciascuno con le proprie ambizioni e contraddizioni, si ritrovano rinchiusi in un’arena regolata da antichi protocolli. Il cardinale Lawrence, assume controvoglia la guida dell’assemblea, portando con sé un peso personale fatto di dubbi e disillusione.

Il film non si limita a un’analisi delle rivalità tra i candidati, ma scava nella natura strutturale del potere, mettendo in luce come il sacro possa essere strumentalizzato per fini personali. I cardinali, benché legati da un mandato spirituale, si muovono secondo logiche che richiamano il realismo politico di Machiavelli: ciò che conta non è l’ideale, ma la sopravvivenza dell’istituzione e il consolidamento del potere personale. Il potere e la fede come dialettica del sacro.

Nel suo Conclave, Edward Berger trasforma il rito solenne dell’elezione papale in una rappresentazione della lotta per il potere, rivelando le contraddizioni insite nel cuore di un’istituzione millenaria. Il film, intriso di tensione morale e immorale, non si accontenta di raccontare la competizione per il soglio pontificio, ma esplora l’essenza stessa del potere religioso e della sua ambiguità: la chiesa come teatro del potere.

Uno dei temi più profondi di Conclave è il ruolo del dubbio nella fede. Il cardinale Lawrence, nel suo percorso di crisi esistenziale, rappresenta una figura tormentata dalla consapevolezza che la certezza può essere nemica della dell’unità, della tolleranza e della verità: se non ci fosse il dubbio non ci sarebbe il mistero né la fede. La sua omelia fa scalpore.

In un mondo ecclesiastico dominato da giochi di potere, la sua riluttanza a sostenere una candidatura per sé stesso si trasforma in una riflessione su come anche l’umiltà possa celare forme di superbia.

Questa tensione richiama il pensiero kierkegaardiano, per cui la fede autentica è costantemente messa alla prova dal dubbio. Non è nella certezza dogmatica che si trova la verità, ma nella capacità di convivere con l’incertezza, rendendo il cammino verso Dio una ricerca senza fine, sulla quale conviene scommettere: per costui la fede è paradosso in quanto è al di là del senso comune, scandalo perché al di là della comune decenza, assurdità in quanto è al di là della logica, contraddizione perché la fede non è scelta.

Visivamente, il film gioca sull’estetica della contraddizione, sul contrasto tra la magnificenza delle ricostruzioni del Vaticano e la meschinità dei comportamenti umani al suo interno. Gli spazi austeri e solenni, come la Cappella Sistina, diventano metafore visive di un potere che, pur apparendo immutabile e trascendente, è profondamente plasmato dalle fragilità umane.

Conclave non è solo un racconto sulle dinamiche interne della Chiesa Cattolica, ma una riflessione più ampia sul ruolo delle istituzioni in un’epoca di crisi morale. L’assemblea dei cardinali, con le sue regole rigide e le sue lotte intestine, diventa il simbolo di un potere che cerca di perpetuarsi nonostante le contraddizioni interne.

Berger non assume una posizione apertamente critica nei confronti della religione, ma si interroga sul significato stesso della leadership morale in un contesto dominato dal pragmatismo. La domanda che emerge è se sia ancora possibile trovare purezza in un’istituzione così profondamente intrecciata con il potere terreno.

Sotto la superficie di un thriller Conclave nasconde una riflessione filosofica e politica sulla fede, sull’autorità e sul destino delle istituzioni.

Essere al servizio di un ideale non significa essere “ideali”: “perché l’abisso chiama l’abisso”.

La corruzione istituzionalizzata della curia viene rappresentata anche da citazioni artistiche, come “la nona ora” di Cattelan, metafora del male e della tenacia.

Una regia che mescola simbolismo e pragmatismo, sacro e profano, con cedimenti didascalici, a tratti basici; un colpo di scena, dettato da un’arringa mascherata da omelia, sferza il colpo di grazia su un film in cui il discreto realismo incontra un eccesso di ottimismo: scherzi della fede!

Ma il regista ricorrendo al concetto di potere come nucleo tematico, rivela una delle sue articolazioni più strutturali: la persistente esclusione delle donne dai processi decisionali. La presenza di SuorAgnes al servizio dei cardinali offre un contrappunto simbolico al cuore della narrazione, trasformando il film in un'allegoria del rapporto tra genere e autorità ecclesiastica con tutta l’asimmetria del sacro. Berger ritrae il mondo ovattato e segreto del conclave come un microcosmo del patriarcato istituzionale. Le suore di Santa Marta, figure silenziose e invisibili, incarnano una condizione di marginalità che riflette la posizione della donna nella Chiesa cattolica. Il loro ruolo di servitrici, deputate a soddisfare i bisogni pratici dei cardinali senza alcuna partecipazione al processo decisionale, diventa una potente immagine di esclusione.

Questo schema riproduce un modello che, in filosofia politica, si potrebbe descrivere come "egemonia implicita": un sistema in cui i dominati accettano, o vengono condizionati ad accettare, la loro posizione subalterna come naturale o immutabile. La residenza di Santa Marta non è solo un luogo fisico, ma una metafora della clausura sociale e spirituale a cui le donne sono confinate da secoli. Conclave non si limita a suggerire questa tensione; piuttosto, la amplifica, mettendo in scena un sistema che si auto-perpetua attraverso il monopolio maschile. La presenza di cardinali di origini diverse, apparentemente simbolo di universalità, è in realtà svuotata della sua promessa di inclusività, poiché ciò che resta immutato è l'assenza di voci femminili.

L’elezione papale, pur presentandosi come un momento di riflessione spirituale, è descritta da Berger come un puro esercizio di strategia politica. I cardinali sono ritratti più come oligarchi che come pastori, e il conclave si configura come un rituale che mantiene inalterato il controllo maschile sulle strutture del sacro. Il protagonista, il cardinale Lawrence, rappresenta la crisi di una fede che si confronta con la disillusione del potere, ma il film suggerisce che questa consapevolezza è insufficiente senza una vera apertura verso il cambiamento.

Da un punto di vista filosofico, Conclave potrebbe essere letto come una critica alla metafisica del potere nella tradizione occidentale. La separazione gerarchica tra i sessi, giustificata per secoli da ragioni teologiche e culturali, si scontra qui con le istanze di uguaglianza che caratterizzano il discorso contemporaneo. Berger non si limita a denunciare l’esclusione femminile, ma interroga lo spettatore sulla legittimità di un’istituzione che continua a definire il sacro attraverso la lente del patriarcato.

Attraverso un’estetica rigorosa il film diventa un’occasione per riflettere non solo sul potere spirituale, ma anche sulle sue implicazioni politiche e sociali. Pur con alcune concessioni ai cliché narrativi, Conclave riesce a offrire una prospettiva critica sulle dinamiche di genere all'interno della Chiesa. La domanda implicita che Berger lascia in sospeso è la seguente: la fede che proclama l’universalità del messaggio divino può mantenersi credibile se non riesce a incarnare il principio di uguaglianza?

La vera universalità della fede, secondo questa prospettiva, richiederebbe una revisione delle strutture di potere per includere tutte le voci, rompendo i vincoli di genere e di status. In questo senso, il film solleva una domanda essenziale: la fede può davvero essere universale se l'accesso ai suoi ruoli chiave è riservato solo a una parte della comunità?

10-Dec-2024 di Beatrice