Recensione di Beatrice On 25-Dec-2024
L'esistenza è in realtà un tempo imperfetto che non diventa mai un presente.
Attraverso la lente di un viaggio in apparenza semplice ma profondamente simbolico, il film ci invita a riflettere su ciò che significa essere vivi in un mondo in cui le strutture sociali sembrano opprimere tanto quanto sostengono. È un’opera che si addentra negli angoli più oscuri dell’esistenza umana, portando sullo schermo una meditazione viscerale sul significato della sopravvivenza, della libertà e dell’alienazione.
La vicenda si ambienta nel 2008, in una cittadina remota situata ai confini del deserto del Gobi: un paesaggio spoglio, grigio-ocra, dove la sabbia sta progressivamente divorando i campi e i camion spesso finiscono fuori strada, inseguiti da branchi di cani senza padrone. Alla vigilia delle Olimpiadi di Pechino, Lang viene scarcerato dopo aver scontato una pena di diversi anni per un omicidio colposo. Tornato nella sua terra d’origine, si riunisce con lo zio Yao (interpretato dal regista Jia Zhangke) il quale cerca di supportarlo nel reinserirsi nella società.
Nel tentativo di affrontare l’emergenza dei cani randagi, le autorità locali, seguendo le direttive nazionali, organizzano squadre incaricate di catturarli. Lang, sebbene riluttante, accetta di lavorare con uno di questi gruppi. Durante il suo incarico, si imbatte in un levriero nero malconcio, che la gente del posto teme sia infetto dalla rabbia. Quando finalmente riesce a catturarlo, invece di consegnarlo alle autorità, sceglie di prendersene cura personalmente.
L’incontro tra Lang e il levriero segna una svolta nelle loro vite: due esseri solitari, feriti dalla vita, trovano conforto l’uno nell’altro, costruendo un legame fatto di fiducia e solidarietà.
Il protagonista, un uomo solitario che attraversa con la sua moto paesaggi desolati, sembra il simbolo dell’uomo moderno, separato tanto dalla natura quanto dagli altri esseri umani. Un uomo, intrappolato tra il desiderio di libertà e la necessità di conformarsi alle regole del mondo.
La presenza del cane nero, enigmatico e sfuggente, è il cuore simbolico del film. In molte tradizioni filosofiche ed esistenziali, il cane nero rappresenta la malinconia o la depressione, ma nel contesto di Guan Hu, sembra assumere un significato ancora più ampio. È un richiamo alla parte più primordiale e animalesca dell’essere umano, quella che sopravvive nonostante tutto, che cammina nell’ombra ma non scompare mai del tutto. Il cane nero non è soltanto un compagno silenzioso; è un riflesso del protagonista, un promemoria dell’instancabile lotta tra istinto e razionalità, tra desiderio e rassegnazione.
Il paesaggio, quasi sempre desertico o industriale, amplifica il senso di isolamento e vuoto. Non ci sono vie di fuga; ogni chilometro percorso sembra condurre a un’altra forma di desolazione. Questo setting spinge lo spettatore a confrontarsi con il vuoto esistenziale. L’idea del "viaggio" come metafora della condizione umana è qui decostruita: non si tratta di un cammino verso un obiettivo, ma di un movimento perpetuo che rivela l’assurdità dell’esistenza stessa.
Un western in cui i cani prendono il posto dei cavalli, insieme ad altri animali del circo come la tigre e ai serpenti, attrazione turistica del luogo. Il tutto tra le violente minacce a cui Lang deve andare incontro, difendendosi come può: le sue scelte di vita rimangono incomprensibili a molti.
"Black Dog" di Guan Hu è un viaggio esistenziale nel cuore di una società frammentata: intreccia i temi della sopravvivenza individuale, della propaganda statale e dell’ossessiva ricerca del profitto, creando un quadro che riflette le tensioni profonde tra l’individuo e le strutture collettive che ne condizionano la vita.
Questa ambientazione non è casuale: è un simbolo del progresso forzato, della corsa all’industrializzazione e alla modernizzazione che il governo spinge con fervore in vista delle Olimpiadi. Le infrastrutture imponenti e i progetti faraonici non rappresentano solo lo sviluppo, ma anche il peso schiacciante della propaganda. Il film ci invita a riflettere su come la narrazione ufficiale di un Paese possa mascherare il vuoto interiore e la disconnessione degli individui che ne fanno parte.
Il cane nero, sempre presente, è il suo unico legame autentico, un simbolo di resistenza silenziosa contro un sistema che tenta di soffocare ogni individualità.
La narrazione, lenta e deliberata, rifiuta le tradizionali strutture cinematografiche, riflettendo il caos e la frammentazione della vita contemporanea. Non c’è una risoluzione chiara; non c’è catarsi. Questa assenza non è una mancanza, ma un atto deliberato di resistenza contro il bisogno umano di significato imposto. Come il protagonista, anche noi siamo lasciati a vagare, a cercare risposte in un mondo che offre solo domande.
Le Olimpiadi, emblema di prestigio internazionale, diventano una metafora dell’inganno collettivo: un evento che promette gloria e unità ma che, nella visione del film, accentua la distanza tra le aspettative e la realtà.
Tra morte e rinascita "Black Dog" è un’opera che trascende i confini del cinema tradizionale per diventare una riflessione filosofica in divenire sul mistero dell’esistenza. Come il cane nero che cammina, reagisce, offende e difende il film ci riporta all’atto della resistenza e all’incessante movimento nel quale risiede il senso ultimo della nostra condizione.
Il mondo spezza tutti quanti e alcuni diventano forti nei punti spezzati.
25-Dec-2024 di Beatrice