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Recensione di Beatrice On 23-Jun-2023
Un campo da calcio inquadrato da lontano, si vede un corpo a terra, persone si muovono intorno in modo concitato, niente audio, qualcuno corre dietro una ragazzina, la ferma, le parla, non si sente nulla.
Usciva il sangue dalle orecchie, non è buon segno, poco dopo si apprende: il bambino è morto.
Si tratta di Jamie, il figlio di un politico di destra.
Lo avrebbe colpito Lykke, figlia tredicenne di un politico laburista.
Da qui parte il lungo racconto misterioso e insinuante di Dag Johan Haugerud, che individua e ritrae, indica e nasconde, mostra e occulta.
Lykke avrebbe colpito con lo zaino Jamie, provocandogli così un’emorragia celebrale: ma perché?
L’articolata costruzione narrativa coinvolge i professori, dei quali nessuno era presente durante l’accaduto e i familiari.
Indizi politici, versioni discordanti, strategie dei media; c’è violenza a scuola? Su chi ricade la responsabilità dell’accaduto? Servizi sociali per Lykke? Chi doveva vigilare? Perché non si trovava sul posto?
Il senso di colpa dilaga tra professori e genitori; si discute di aggressività e di non poter prendere le distanze da chi ha ucciso o forse provocato la morte.
Si sono rispettati i protocolli di sicurezza? C’è chi insinua che tra i ragazzi c’è bullismo, provocazioni di ogni genere. Sarà il caso di pubblicare una pagina commemorativa su Facebook per Jamie? E’ peggio se a morire è un bambino o un adulto?
Le dinamiche familiari; di coppia; genitoriali, professionali anche se il caso sarà comunque archiviato perché lei è una bambina e non può essere processata; ma questo la mantiene comunque in uno stato di colpevolezza.
La casa dei bambini può essere un aiuto.
Nessuno evidenziava che Jamie era il più bravo, anche a calcio, la compresenza di 50 diverse nazionalità a scuola tendeva a livellare piuttosto che differenziare: una questione di politiche scolastiche.
Le differenze di genere sembrano meglio tollerate di quelle che individuano nella destra e nella sinistra un elementare schema fondato sul pregiudizio più o meno reciproco.
Il ruolo professionale del docente è continuamente esposto al dubbio se sia più corretto sdrammatizzare o tracciare il confine, il limite attraverso l’applicazione del provvedimento disciplinare di fronte alle provocazioni degli studenti.
Quale differenza emerge tra il comportamento adulto e bambino; quanto mentono gli adulti rispetto a se stessi nel rapporto con i propri figli; quanto comprendono e determinano i docenti del rapporto che si istaura tra loro e gli studenti.
Il quartiere di Oslo nel quale accade il drammatico fatto diventa il semplice microcosmo/ pretesto per focalizzare l’attenzione su una interminabile serie di riflessioni.
Accadimenti, regole, conflitti, complessità, pregiudizi si intrecciano per risolversi in uno sguardo, quello infantile, più articolato del previsto; più semplice del supposto; più sofisticato del presunto.
L’occhio del bambino, diventa uno sguardo che mette a nudo l’insita insofferenza umana all’assunzione di responsabilità; una incapacità di osservare la propria improvvisata assunzione di ruoli predisposti.
Le immagini iniziali, senza audio diventano, con il trascorrere dei minuti, ben ‘157, sempre più eloquenti e disturbanti.
L’obiettivo del film si rivela in realtà non comprendere come sono andate effettivamente le cose quanto mettere sotto la lente di un’attenta osservazione le reazioni delle persone che ruotano intorno al fatto, come accade negli inquietanti film dello svedese Ostlund; reazioni che introducono il caos in un ordine fatto di convenzionali regole, ruoli, procedure che entrano immediatamente in crisi di fronte a fatti imprevedibili.
Soprattutto là dove si intaccano quegli ambienti rappresentati dalla scuola e dalla famiglia, ritenuti impropriamente salvaguardati, il problema diventa il modo con il quale poter indagare quelle costruzioni sociali iperprotettive che ostacolano l’individuazione della vera identità dei bambini.
La vera questione sembra quindi essere quella posta dal titolo originale del film “BARN” ossia, semplicemente “bambini,” ossia quella moltitudine di adulti bisognosa di rimuovere qualunque ombra che oscuri la necessità di distinguere nettamente il bene dal male.
Quanto nei bambini sia centrale la caoticità del principio del piacere rispetto alla rigidità del principio di realtà degli adulti sembra una necessità evidente della narrazione.
Il film ci cala in uno spaccato psicopedagogico dal quale è impossibile prendere le distanze perché rappresenta il ritratto di una realtà più o meno educativa della società occidentale contemporanea.
L’attenzione è rivolta a sottolineare attraverso una ricca discussione e argomentazione di temi esistenziali e attraverso una attenta cura delle scene tra le quali l’ inquietante incontro tra la tredicenne Lykke e il papà di Jamie, il continuo scambio di ruoli bambino/adulto – adulto/bambino. Il gioco dei ruoli è evidenziato dal tema centrale del film ossia genitore/figlio, professore/alunno posti continuamente difronte all’arduo, a tratti disperato, tentativo di educare a diventare adulti soprattutto quando si assottiglia sempre più l’imprescindibile distanza tra i ruoli.
23-Jun-2023 di Beatrice