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Beginning

Beginning

Dea Kulumbegashvili

Drama • 2020 • 2h 5m

Recensito da Beatrice 30. September 2024

Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris

Ricordati, uomo, che polvere sei e polvere ritornerai

Georgia.

Preghiera.

Testimoni di Geova.

Bambini messi in punizione nella Sala del Regno.

Entrano i partecipanti e mentre si discute cosa insegna la storia di Isacco sottoposto alla dura prova di fede, un attacco incendiario colpisce il luogo mandandolo distrutto, e mentre tutti sono fuori ad assistere all’incendio, i bambini continuano a giocare e a ridere fragorosamente, compreso Giorgi il figlio di Iana moglie di Davit, leader religioso.

Quest’ultimo vuole ricostruire la Sala del Regno e denuncia l’attentato ma è invitato a cancellare il filmato di sicurezza dell’incidente.

Aleks, presunto ispettore di polizia di Tbilisi si presenta da Iana per fare domande sull’incendio continuando con insinuazioni personali e invadenti sulla sessualità della coppia, mettendo a dura prova la resistenza della donna sottoposta ad una tortura che da psicologica diventa fisica.

La visita della donna dalla madre, “donna di seconda mano” e dalla sorella, il racconto del comportamento del padre, il rapporto con il figlio, la dedizione alla causa religiosa, i continui conflitti interiori che destabilizzano le scelte pregresse di Iana arrivano fino all’abuso della registrazione manipolata e fatta ascoltare anonimamente al marito Davit che insinua responsabilità e manifesta indifferenza per la violenza confessata dalla moglie.

Dopo il rituale dei battesimi e le domande rivolte ai bambini sul paradiso, l’inferno, il bene, il male, il leader invita la moglie a trasferirsi a Tbilisi per un promozione e per cominciare da capo.

Le confessa infatti di volerla perdonare nonostante lei risponda che non ci riuscirà.

Il finale recupererà l’inizio, in una circolarità perfetta, dove tutto torna, storia, concetto, significato, metafora, conflittualità, religione, senso, come in una ciclicità stagionale rappresentata da una natura invadente, scenograficamente assoluta protagonista.

Camera fissa, fuoricampo, distanza: elementi indispensabili per concentrare l’attenzione su ciò che è invisibile o poco percepibile, per sollecitare lo sguardo e il punto di domanda su ciò che accade, invitando a riflettere, ricostruire, individuare la direzione che sta intraprendendo la storia e il percorso di una donna, nella parabola del vuoto esistenziale.

Iana agisce mentre la natura assorbe la cenere nella porosità delle sue crepe aride e impietose.

Una donna si aggira respirando una natura di boschi, acqua, torrenti, rocce, per sopravvivere all’impossibilità soffocante di vivere ciò che non le appartiene.

Una violenza culturale alla quale non riesce a opporre resistenza fisica né verbale ma che comprime l’ingannevole realtà alla quale sembra condannata.

La fede comincia appunto là dove la ragione finisce, diceva Kierkegaard.

La fede è paradosso, in quanto è al di là del senso comune, scandalo e assurdità in quanto è al di là della logica e contraddizione perché non è una scelta.

Iana non riesce a sostituirla alla disperazione dell’esistenza, instabile, contraddittoria, caratterizzata dalla necessità e al tempo stesso impossibilità di decidere.

L’inizio della fine da Abramo a Medea passando per Cachè.

Dalla Bibbia a Euripide passando per Haneke.

Dal paradiso all’inferno passando per il peccato, il fuoco, il sacrificio, le regole, la disciplina, la morte.

Il conflitto tra l’individuo e la testimonianza passa attraverso il giudizio, l’esclusione e la condanna: la libertà non è prevista senza il passaporto della fede come il femminile senza il lasciapassare di moglie e madre.

La Kulumbegashvili accompagna il disturbo esistenziale con la molesta sonorità elettronica di Nicolas Jaar, con il frastuono della natura e la confusione della distanza rarefatta di chi vorrebbe capire ma non è messo nelle condizioni di vedere.

C’è sempre lo spazio incolmabile della verità nascosta dalla realtà rappresentabile ma mai afferrabile.

Il minimalismo statico delle inquadrature si rivela direttamente proporzionale al dialogo dinamico e opprimente della transizione esistenziale: Iana si adagia su una natura ossigenante, vuole smarcarsi senza riuscire ad identificare un senso all’orientamento. Sa cosa non vuole ma non identifica quale direzione intraprendere.

La tonalità assordante del conflitto interiore di contro all’erotismo indecodificabile della rappresentazione punta il dito sulla scelta di allontanarsi dal voyeurismo pornografico della vista a vantaggio di una sobrietà dello sguardo morigerato e temperato, contenuto e controllato.

La sollecitazione dei sensi privilegia l’udito sulla vista censurata e sottratta alla mercificazione che maschera il conflitto tra la componente individuale e la convenzione sociale.

La Kulumbegashvili non svende la sua arte al mercato, il talento la sottrae al conformismo ideologico incline al sistema dell’industria culturale: l’opera prima lo annuncia, l’opera seconda lo conferma.

Tutto ciò che si può sperare è d'essere un po' meno, alla fine, chi si era all'inizio, e in seguito.

Non appena inizi a pensare all'inizio, è la fine.

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