
Recensione di Beatrice On 27-Jun-2023
Agu vive con la sua famiglia in un villaggio cattolico, dove insieme ai suoi amici gioca e scherza. Ha un fratello maggiore che ama i muscoli, le ragazze e il ballo. La guerra civile incombe e decidono di allontanare donne e bambini dal villaggio per far rimanere solo gli uomini. Agu, che è un bambino, non viene accolto dall'autista che deve portarli altrove e nella concitazione rimane tra gli uomini. Assisterà allo sterminio della sua famiglia e si rifugerà nella foresta ove rimarrà per giorni fino a quando verrà catturato dall'esercito del Comandante, il leader di un gruppo di giovani e bambini addestrati alla guerra più atroce.
Costui infatti alimenta in loro uno spirito di vendetta addestrandoli a vendicarsi dello sterminio delle loro famiglie, identificando in altri gruppi i nemici. Una guerra che si estende per tutto il continente e di cui si è smarrita qualunque ragione: da un lato l'esercito dall'altro i ribelli.
Una voce fuori campo esplicita i pensieri di Agu, che nonostante le atrocità che deve subire e perpetrare ha uno sguardo attento e vigile sulla tragedia che sta vivendo.
Ferocia, stupri, uccisioni di massa, abusi sessuali e droghe, niente viene risparmiato a questi ragazzini che pare, in Africa, siano più di 180.000.
Con un machete, che a malapena riesce a sollevare, si può indurre un bambino ad uccidere un suo connazionale che lo implora di non farlo, colpendolo ripetutamente al capo?
Fukunaga non si lascia intimorire dall'orrore che deve rappresentare e riveste di raffinato gusto estetico le divise dei ribelli, facendo indossare ad ognuno un capo che sembra uscito da una sfilata di Stella Jean.
Non vuole essere una critica questa, anzi!
Rappresentare l'orrore con un bel vestito vuol dire invitarlo a guardare con attenzione, senza distogliere lo sguardo. Non solo il colore del sangue che scorre ma la cromaticità di tessuti e accessori che decorano corpi assassini denunciano la capacità del male di travestirsi e sedurre.
Un documentario, le immagini in tv, la cronaca non riuscirebbe mai a fare quello che Fukunaga è riuscito a confezionare: la morte si fa bella e si annuncia armando di fucile le braccia semi-innocenti di un bambino.
Niente è più surreale di un uomo che commette un omicidio, diceva Bunuel, nulla potrà restituire forma ad un bambino decomposto dalla violenza.
Abu sa che non potrà tornare il bambino che era e sa che l'unico modo per non combattere più è morire.
Non si esce incolumi da questa visione: niente ci viene risparmiato, in questa violenza che perpetra sesso e morte anche in un bordello.
L'invasione psicologica delle immagini fa trapelare che l'uomo non può nulla e nondimeno può tutto.
Con Fukunaga si fa un viaggio negli inferi dell'inumano fin troppo umano; il film ha l'intenzione di inquietare l'aspetto meccanico delle vite umane, quella pantomima priva di senso che rende sciocco tutto ciò che è irriflesso.
L'assurdità in queste scene diviene straziante e la condizione umana ne è umiliata: l'uomo sembra mezzo a sè stesso.
Una immensa opera cinematografica, dove l'arte scolpisce la denuncia e ritrae la miseria e l'insensatezza umana.
27-Jun-2023 di Beatrice