
Recensione di Beatrice On 22-Apr-2024
Nero latte dell’alba lo beviamo la sera,
lo beviamo a mezzogiorno e al mattino
lo beviamo di notte,
beviamo e beviamo,
scaviamo una tomba nell’aria là non si giace stretti.
(Paul Celan, Fuga di morte)
Le sculture dedicate alla Sposa, aprono poeticamente le immagini immersive, in un contesto boschivo rarefatto e statico con il Sonnenuhren di Leonard Kübner: un incantesimo in cui l’abito si fa radice, satellite, torre.
L’elenco di donne dell’antichità, come Flavia e Poppea: donne libri, gabbia, legna: “vogliamo essere quelle senza nome, dimenticate”.
Sconfinato.
Deposito, magazzino, cantiere.
Arte e mitologia sono fortune di conoscenza.
Il mito è un modo alternativo per comprendere la storia.
Filosofia, letteratura, fisica, astronomia, rovine.
Kiefer è nato l’8 marzo 1945, ha trascorso la sua infanzia tra le rovine della guerra e questo rimarrà il punto di convergenza inestinguibile della sua opera.
La necessità di ripercorrere ossessivamente quel passato che è sempre presente attraverso la manipolazione della materia, dei miti dei monumenti, dei corpi.
Il documentario è un andirivieni della vita di Kiefer inframezzato dall’attualità che si compie nei due distinti maestosi atelier: Barjac, 30 ettari nel sud della Francia e Croissy, vicino a Parigi.
Li percorre in bici, salendo e scendendo freneticamente dalle impalcature mobili per avvicinarsi alle altezze e alla maestosità delle sue opere.
Attraverso il 3D Wenders vuole condurci direttamente in quegli spazi, facendo ricorso alla poesia di Celan e alla filosofia di Heidegger.
L’incontro tra i due rimase un non incontro: il regista racconta la necessità del poeta, ebreo rumeno al quale morirono i genitori nei campi di lavoro e di concentramento con il filosofo che fu rettore dell’Università di Friburgo durante l’ascesa di Adolf Hitler.
Nel 1967 Celan attende una spiegazione, un’azione, un pensiero, un gesto che rimane muto, incompiuto, impensato. Dopo alcuni anni si suiciderà.
La necessità di raccontare questa impossibilità evidenzia l’urgenza del regista di far cogliere l’assenza di una risposta che insegue il percorso artistico di Kiefer, tracciando il labirinto della lettura, della sterminata biblioteca, della ossessiva/compulsiva accumulazione di materia da utilizzare senza una compiuta progettualità.
Il suo lavoro ha bisogno del paesaggio, dell’epica, della cattedrale.
Sfoglia album diversamente dai suoi libri non libri, enormi, pesanti non consultabili, non leggibili.
Sfoglia anche un volume di propri lavori intitolato “Il cervello di Heidegger” che si fa cupa neoplasia, metastasi.
Costruisce biciclette con le ali in onore dell’insostenibile leggerezza dell’essere, mentre cammina in una citta fantasma tra ruderi e abbandono.
Il Kiefer di Wenders si sente in cammino, mai arrivato, sempre bandito: rappresentato come un funambolo sulle rovine del mondo con un girasole/papavero come asta.
La scena è vuota come l’inizio del mondo e come il fraintendimento della sua opera tacciata di nazionalsocialismo.
D’altronde Wenders sa molto bene cosa significa essere tedeschi, eredi, seppur innocenti di una colpa ontologica.
Un docufilm nel quale la realtà si intreccia alla finzione, con passaggi che vanno dall’infanzia al riconoscimento precoce del talento dell’artista, ai ritratti dei grandi pensatori tedeschi, alle citazioni bibliche, tra astrazione metafisica e apocalisse.
Wenders rende fruibile al grande pubblico la complessità infinita di un’arte irredenta e non lo fa in modo didascalico, né descrittivo: racconta tuttavia, senza ricorrere alla sua parola, la ricerca incessante di frammenti di vita, di memoria, di assenza, di materia, di vuoto.
Ci fa entrare in quella inquietudine che è divenuta un deposito in espansione, caotico e grave dove regna la sottrazione del significato e dove vige la necessità di costruire per distruggere e ricostruire di nuovo, senza soluzione di continuità.
Un archeologo, un alchimista, filosofo presocratico che violenta la materia che mescola gli elementi terra, acqua, fuoco e aria con l’estrosità e la lucidità eraclitee dove si rappresenta la sostanza Spinoziana del Deus sive natura.
Tutto sembra in divenire, nonostante la gravità: tutto è in continua trasformazione: perché tutto è in tutto e forse il finito si risolve nell’infinito hegeliano.
L’opera è tale solo nel suo farsi, mentre diventa prodotto nel momento in cui si compie.
Il Kiefer di Wenders mescola tutto, bruciando e spegnendo il fuoco che genera, emulsionando gli elementi come una divinità immanente e antropomorfa che solca la traccia dell’irraggiungibilità del significato consentendo al male di diventare cruda bellezza.
22-Apr-2024 di Beatrice
Wim Wenders movies
PERFECT DAYS
2023