L'economia è politica

L’economia è Politica: Critica Epistemologica Della Razionalità Economica Dominante

L'economia è politica

La tesi più radicale del libro emerge con forza: non può esistere vera democrazia sotto il capitalismo. La forma democratica è svuotata, ridotta a cerimoniale. Le scelte fondamentali — sul lavoro, sui servizi, sulla vita — vengono affidate a enti “indipendenti”, “super partes”. Ma super partes rispetto a cosa, se non alla possibilità di decidere insieme come vivere? «Il capitalismo e la democrazia sono incompatibili», scrive Mattei. Ogni processo decisionale collettivo è subordinato all’accumulazione. Il voto, il Parlamento, il dibattito pubblico sono gusci vuoti, mentre il potere reale si esercita nel linguaggio contabile, nei numeri, nello spread.

Recensito da Beatrice 21. July 2025
Ogni ordine economico è un ordine politico.»
Clara E. Mattei

 

Nel suo libro L’economia è politica, Clara E. Mattei compie un’operazione critica che va ben oltre il semplice contributo accademico: è un gesto politico, un atto di disvelamento ideologico, una rottura epistemologica rispetto alla narrazione dominante che separa l’economia dal conflitto sociale. Contro la pretesa neutralità della scienza economica, Mattei riporta alla luce il suo fondamento sociale, il suo essere tecnica di governo, apparato simbolico e ideologico al servizio del dominio di classe.

Lungi dall’essere una disciplina che “descrive” il reale, l’economia — nella sua forma mainstream — si rivela per ciò che è: una pratica che decide, che normalizza, che interviene nella vita collettiva per riprodurre i rapporti di forza esistenti. Come scrive l’autrice, «le decisioni delle istituzioni economiche non sono mai neutrali»; ciò che viene presentato come necessità tecnica è in realtà un mezzo per neutralizzare il dissenso, per restaurare la docilità sociale nei momenti in cui l’equilibrio capitalistico è minacciato.

La genealogia dell’austerità, che Mattei ricostruisce a partire dalle esperienze postbelliche di Italia e Regno Unito, mostra come tale logica non sia emergenziale, ma strutturale. Lungi dall’essere un sacrificio condiviso, l’austerità si rivela come un progetto politico di lungo periodo: un’architettura della disuguaglianza, una violenza strutturale mascherata da rigore. Come afferma Mattei, «la pillola amara deve ingoiarla sempre la gente comune», perché il fine non è l’equilibrio di bilancio, ma la governabilità dei corpi lavoratori.

In questo senso, Marx è costantemente presente nel lavoro dell’autrice: dai Manoscritti economico-filosofici, dove si denuncia la naturalizzazione dei rapporti sociali, al Capitale, in cui «l’accumulazione del capitale è, da un lato, accumulazione di miseria per il proletariato». L’economia borghese diventa così una forma di alienazione cognitiva e politica, una religione secolare — invisibile, dogmatica, immutabile — che costruisce l’egemonia culturale del capitalismo.

Mattei si inserisce in una tradizione critica che va da Marx a Gramsci, da Foucault a Wendy Brown. Come Gramsci denunciava la capacità dell’egemonia borghese di ottenere consenso anche contro gli interessi dei subalterni, così Mattei mette a nudo una tecnocrazia capitalista che si fonda sul consenso passivo. Il linguaggio economico — efficienza, sostenibilità, riforma strutturale — diventa uno strumento di disciplinamento, un lessico del dominio che espropria le masse della loro immaginazione politica. Come ricordava Marx ne L’ideologia tedesca, «le idee dominanti di ogni epoca sono le idee della classe dominante».

La tesi più radicale del libro emerge con forza: non può esistere vera democrazia sotto il capitalismo. La forma democratica è svuotata, ridotta a cerimoniale. Le scelte fondamentali — sul lavoro, sui servizi, sulla vita — vengono affidate a enti “indipendenti”, “super partes”. Ma super partes rispetto a cosa, se non alla possibilità di decidere insieme come vivere? «Il capitalismo e la democrazia sono incompatibili», scrive Mattei. Ogni processo decisionale collettivo è subordinato all’accumulazione. Il voto, il Parlamento, il dibattito pubblico sono gusci vuoti, mentre il potere reale si esercita nel linguaggio contabile, nei numeri, nello spread.

Citare Kalecki rafforza la lettura marxista: «in un regime di pieno impiego, il licenziamento cesserebbe di agire come misura disciplinare». Il lavoro salariato, come già scriveva Marx in Lavoro salariato e capitale, è una forma moderna di schiavitù: il lavoratore esiste solo per soddisfare i bisogni del capitale.

Ma L’economia è politica non si limita alla diagnosi. È anche un invito alla diserzione: dal pensiero unico, dalla retorica dell’inevitabile, dalla sudditanza cognitiva alla realtà numerica. Ripoliticizzare il sapere significa — per Mattei — ri-democratizzare l’economia, restituire ai cittadini il diritto di decidere le regole fondamentali della propria esistenza. «Riappropriarsi delle scelte più importanti che regolano le basi stesse della vita» è l’obiettivo politico implicito in questa critica. Il punto non è riformare il paradigma, ma smantellarlo. Non aggiustare il sistema, ma spezzare le sue pretese universalistiche. Non comprendere meglio il mondo, ma rovesciarlo.

Come Marx affermava nella Critica del programma di Gotha, «il diritto non può mai essere al di sopra della struttura economica e del grado di sviluppo della società». E ancora, nei Manoscritti del 1844: «L’economia politica non ci rivela la fonte della ricchezza. Ci rivela solo come essa sia accaparrata». È proprio a questa fonte che Mattei ci chiede di tornare.

In conclusione, L’economia è politica è un testo necessario per chi crede che la lotta non sia solo una questione sociale, ma anche — e forse prima di tutto — epistemologica. Smonta il lessico dell’efficienza, del rigore, del decoro, e ne svela la funzione normalizzante e disciplinante. È un pensiero critico, ma anche trasformativo. Un pensiero che osa immaginare alternative, che non ha paura di interrogare il presente con gli strumenti della storia, della teoria, della politica. Un libro che parla da dentro il nostro tempo, ma con lo sguardo rivolto a ciò che può ancora essere pensato e costruito collettivamente.

 

Il capitalismo e la democrazia sono incompatibili.»
Clara E. Mattei