“C’è sempre un punto debole, un tendine d’Achille – ed è quello che cerco… Come si può scavare la verità in un luogo che ha fatto di tutto per ripulire le tracce di segreti profondamente inquietanti?”
(W. Mutu)
Corpi-macchina, radici e carne: metamorfosi e insurrezione nella materia femminile
L’universo immaginifico di Wangechi Mutu è abitato da presenze ibride, entità in continua mutazione che trasgrediscono i confini tra il biologico e il meccanico, il minerale e l’organico. Le sue figure, spesso femminili, emergono da un collage vivente di pelle, foglie, metallo e pelliccia. Non sono né creature mitiche né cyborg futuribili: sono organismi insubordinati, forme di resistenza incarnata contro l’estetica normata, il consumo seriale dell’immagine e le narrazioni dominanti del corpo.
In opere come quelle esposte nella mostra I Am Speaking, Are You Listening? (Legion of Honor, San Francisco, 2021), l’artista intreccia temi di femminilità ferita e rigenerata, ecologie spezzate, sistemi di dominio visibile e invisibile. Ma Mutu non enuncia: frammenta, distorce, ibrida. I suoi lavori parlano come oracoli muti, eppure urlanti, in lingue fatte di terra, muscoli e ruggine.
1. Sovversione del corpo nero femminile
Attraverso sovrapposizioni materiche, tessuti iconografici contaminati e l’uso chirurgico del collage, Mutu decostruisce la lunga tradizione iconografica che ha ridotto il corpo nero a superficie di proiezione coloniale. Le sue figure si sottraggono a ogni lettura univoca: non si lasciano possedere dallo sguardo, ma lo deviano, lo sfidano, lo feriscono.
2. Alleanze radicali con il terrestre
Le sculture-sentinella, erette come guardiane di un sapere ancestrale, incarnano una relazione profonda e irriducibile con il suolo, le piante, l’acqua, la decomposizione. In esse, il corpo femminile non è ornamento ma geografia sacra, in cui si inscrivono memoria, erosione e fertilità.
“Credo sinceramente che tutta l’arte interroghi la realtà… e chiunque stia davvero ascoltando si chiede: chi ha potere sta prestando attenzione?”
(W. Mutu)
3. Estetiche del perturbante
Glamour e violenza, seduzione e rovina, spiritualità e mutazione coesistono in un linguaggio visivo che destabilizza. Le sue opere operano come apparizioni: iconiche ma instabili, sacre e carnali, trasportano nel simbolico tutto ciò che la cultura ha escluso – il mostruoso, il deforme, il desiderante.
4. Una lingua diasporica del presente
La pratica di Mutu è inscritta in una visione radicalmente planetaria. Attrae e mescola codici estetici africani, echi diasporici, spettri postcoloniali e immaginari afrofuturisti, creando un archivio visivo in cui il futuro e il passato collassano. La sua arte è un lessico fluido, intersezionale, capace di parlare al globale senza dimenticare le ferite locali.
“Uso il femminile come una lente; non penso nemmeno che tutte le mie creature siano donne. Penso solo di far emergere il femminile che c’è in loro.”
(W. Mutu)
| | | Dal 10 giugno al 14 settembre 2025, la Galleria Borghese ospita, per la prima volta nella residenza del Cardinal Scipione, una mostra dell’artista keniota e americana Wangechi Mutu, dal titolo Poemi della terra nera, a cura di Cloé Perrone. Il progetto, che muove anch’esso, come la mostra recentemente conclusa sul poeta barocco Giovan Battista Marino, dall’interesse del museo nei confronti della poesia, è concepito come un intervento site-specific che si sviluppa nelle sale interne del museo, sulla facciata e nei Giardini Segreti, sfida la tradizione classica, attraversando sospensioni, forme frammentate e nuove mitologie immaginate, e crea un dialogo multistrato tra il linguaggio contemporaneo dell’artista e l’autorità antica. Il titolo evoca il profondo significato della pratica duplice di Mutu, intrecciata tra poesia e mitologie, ma profondamente ancorata ai contesti sociali e materiali contemporanei. La "terra nera", ricca e malleabile sotto la pioggia, quasi come argilla, appare in molteplici geografie, inclusi i Giardini Segreti della Galleria Borghese, che offrono un punto di risonanza con l'immaginario dell'artista. Da questa terra, le sculture sembrano emergere, come modellate da una forza primordiale, dando vita a storie, miti, ricordi e poesie. La metafora sottolinea la forza generativa e trasformativa del suo lavoro: radicato nella materialità ma aperto a molteplici interpretazioni future. L'intervento di Wangechi Mutu introduce un vocabolario inedito nell'architettura storica e simbolica della Galleria Borghese. Attraverso la scultura, l'installazione e l'immagine in movimento, l'artista propone un approccio innovativo allo spazio museale, che sfida la gerarchia, la permanenza e il significato fisso. Le sue opere interrogano il peso visivo e l'autorità della collezione, adottando strategie di sospensione, fluidità e frammentazione. In tal modo il museo non si presenta come un semplice contenitore statico di oggetti, ma come un organismo vivo, in continua trasformazione, plasmato dalla perdita, dall'adattamento e dalla riconfigurazione. | La mostra si articola in due sezioni complementari. All’interno del museo Mutu riconsidera radicalmente l’orientamento spaziale e le sue sculture non celano mai la collezione Borghese, ma si aggiungono lievi. Presenze eteree che si librano in aria, volano leggere, oppure sono poggiate su piani orizzontali. Opere come Ndege, Suspended Playtime, First Weeping Head e Second Weeping Head sfidano la logica gravitazionale, pendendo delicatamente dai soffitti e incorniciando nuove vedute. Questo atto di sospensione non è solo formale ma suggerisce uno spostamento delle narrazioni storiche e delle gerarchie materiali. Il campo visivo del museo si ridisegna e nuove modalità di percezione si aprono al nostro sguardo. I materiali – bronzo, legno, piume, terra, carta, acqua e cera – sono cruciali per l’etica della mostra. Il bronzo in particolare, si spoglia del suo significato più tradizionale per diventare veicolo di memoria ancestrale, di recupero e di molteplicità. Inserendo sostanze organiche, fluide, mutevoli in un contesto tradizionalmente dominato dal marmo, dallo stucco e dalle superfici dorate, l'artista ribadisce la poetica della trasformazione, del divenire, anticipando così un tema che sarà centrale nel programma espositivo del museo del 2026: le metamorfosi. Poemi della terra nera ci invita a trascendere le prospettive fisse, spostando il nostro sguardo per consentire la coesistenza di più narrazioni e rivelando il museo non solo come uno spazio di memoria, ma come un luogo di immaginazione e trasformazione. Gli interventi di Wangechi Mutu spingono gli spettatori ad abitare il museo in modo diverso, a guardare non solo ciò che è esposto, ma anche ciò che è stato rimosso, messo a tacere o reso invisibile. All'esterno, sulla facciata del museo e nei Giardini Segreti si dispiegano: The Seated I e The Seated IV, due moderne cariatidi realizzate per la facciata del Metropolitan Museum di New York nel 2019 nell’ambito della Facade Commission e che testimoniano un importante momento di confronto dell’artista con un’istituzione pubblica; Nyoka, Heads in a Basket, Musa e Water Woman, che reinterpretano i vasi archetipici come spazi di trasformazione. Con The End of eating Everything, Mutu espande il proprio linguaggio artistico attraverso il video, aggiungendo una dimensione temporale e immersiva alla sua continua esplorazione del mito. Queste opere danno vita a nuove forme ibride, in parte umane, in parte mitologiche, in parte contenitori simbolici, attingendo alle tradizioni dell’Africa orientale e alle cosmologie globali, che sembrano emergere da un terreno simbolico. La loro posata presenza nei giardini e sulla facciata, offre un contrappeso all'ordine classico del sito, sfidando la forma idealizzata e la narrazione lineare a favore dell’ambiguità, dell’alterità e della presenza spirituale. Anche il suono, vero o suggerito, e la sua traccia giocano un ruolo sottile ma pervadente nella mostra: dal ritmo sospeso di Poems for my great Grandmother Ial testo appoggiato di Grains of War, tratto dalla canzone War di Bob Marley ispirata ad una figura chiave dei movimenti anticoloniali, l'ultimo imperatore d'Etiopia Haile Selassie (1930-1974), il cui discorso del 1963 alle Nazioni Unite chiedeva la fine dell'ingiustizia razziale. Il linguaggio diventa scultoreo e il suono una forma di memoria. “Un mondo e un tempo frammentati, di cui si osservano dettagli materiali con risonanze metaforiche: il lavoro di Mutu presentato alla Galleria Borghese ci spinge a guardare più intensamente e con più attenzione non solo alla creatività contemporanea, ma allo spazio e alle opere della Galleria. Alzando o abbassando lo sguardo si incontrano le sculture e le istallazioni di Mutu, che non interrompono la visuale sulla collezione permanente, ma arricchiscono l’esperienza del visitatore rimandando al tentativo di un rapporto con la storia del luogo. Ci invitano ad andare alla ricerca di spiriti, fantasmi, trasformazione e poesia, a non fermarci al visibile e neanche al nostro orizzonte e alla sua consueta bellezza” a!erma Francesca Cappelletti, Direttrice della Galleria Borghese La mostra prosegue all'American Academy in Rome, dove è esposta Shavasana I. La figura in bronzo, sdraiata e coperta da una stuoia di paglia intrecciata, è intitolata alla posa yoga “shavasana” (posa del cadavere) e si ispira a un reale fatto di cronaca. La collocazione, nell’atrio dell’Accademia, alla presenza di iscrizioni funerarie romane, fa da cassa di risonanza al concetto di morte, abbandono e dignità del vivere. Con questa esposizione, la Galleria Borghese continua il suo impegno nell'arte contemporanea, dopo le mostre Gesti Universali di Giuseppe Penone (2023) e Louise Bourgeois. L’inconscio della memoria (2024), proponendo un nuovo modo di vedere lo spazio, rinnovato di connessioni e prospettive attraverso la visione di un’importante artista internazionale. La mostra è resa possibile grazie al sostegno di FENDI, sponsor ufficiale dell’esposizione. Il programma di incontri che accompagna l’esposizione, dal titolo Esistere come donna, è organizzato da Electa con Fondazione Fondamenta e affronta i temi della mostra attraverso dialoghi e lezioni con partner istituzionali.