Paradiso

Paradiso

Un’imponente installazione dell’artista Gian Maria Tosatti nei magazzini della Stazione Centrale di Milano.
22-03-2025 fino a 11-04-2025
Recensito da Beatrice 05. April 2025

L’uomo è l’essere che ha fatto del nulla la sua dimora.
(Emil Cioran)


Nel ventre abbandonato degli ex Magazzini Raccordati, sotto la Stazione Centrale di Milano, Gian Maria Tosatti dà forma a un vuoto che si fa percorso: Paradiso. Non un’opera da contemplare, ma una soglia da varcare, un’esperienza-limite che interroga l’essere, destabilizza, disorienta. Su 3.000 metri quadrati si dispiega un labirinto inquieto, un altare profanato dell’immaginario celeste, in cui l’arte si spoglia della propria funzione decorativa e si fa carne viva del tempo.



Alle pareti, i versi dell’Apocalisse non parlano più di un futuro promesso, ma risuonano come diagnosi della fine. E sotto i nostri piedi, i passi sul sale si fanno suono dell’abisso: un suono fragile, che scivola nel silenzio di ciò che è stato perduto. Paradiso non è un altrove, ma lo specchio distorto di un presente collassato.
“Oggi che si sono perduti i principi etici e che la morale è diventata un impedimento, qual è il paradiso che ci immaginiamo?”, si chiede l’artista. “È un luogo distrutto, collassato su sé stesso, senza più angeli. Vuoto, ma riempito della violenza dell’uomo.”



In questa installazione, ogni idea di trascendenza appare svuotata, come se il cielo stesso avesse abdicato. Le volte celesti si sfaldano, aggredite dall'umidità e dall’oblio, le aule dove un tempo dimoravano le gerarchie angeliche sono abitate da relitti umani, corpi avvolti in coperte termiche, presenze marginali e reali. 
Il visitatore attraversa spazi dove la materia porta le tracce di una violenza invisibile, quasi sistemica. Pozzanghere stagnanti, latrine in disfacimento, cumuli di neve/sale prossimi allo scioglimento: la scena sembra composta da ciò che resta dopo un naufragio non dichiarato.



“Il paradiso è l'ultima frontiera della speranza degli uomini”, ha detto Tosatti, “ma per una civiltà che diventa sempre più disperata, che forma ha il paradiso? Ovviamente ha la forma di una distruzione di qualcosa in disarmo e quindi entriamo in questo paradiso disarmato e ci rendiamo conto che sì, dentro il nostro cuore questa è l'ultima frontiera della speranza, cioè un vuoto.”



Il vuoto che incontriamo non è semplice stanchezza dell’anima, ma l’effetto di una forza che ci ha preceduti e superati. “Dopodiché ci rendiamo anche conto che questo vuoto non è sfiorito semplicemente perché le speranze le abbiamo perse, ma forse c’è una violenza dietro tutto questo, una violenza coercitiva che fa parte di una società che ci ha portato via forse le speranze, non sono sfiorite nel nostro cuore, qualcuno ce le ha portate via perché governare uomini senza speranza è molto più facile.”



Ecco allora che la visione si radicalizza: la distruzione non è il punto d’arrivo, ma la condizione stessa del visibile. Su una parete, i nomi degli angeli – incisi nel marmo – sono ora frantumi; e nell’ultima sala, un binario sotterraneo appare come la traccia nuda di una memoria impossibile da ignorare. Una ferrovia che si perde nella notte al suono di El Mole Rahamm e conduce, simbolicamente e storicamente, ai campi di sterminio: lì dove l’umanità si è disfatta di sé stessa.

“Spero però che queste siano le mie ultime opere nere’”, confida Tosatti, lasciando intravedere la possibilità di una svolta. Ma finché l’arte riflette la sostanza del nostro tempo, non può che restituire questa vertigine: un cielo svuotato, una fede disarmata, un’umanità in bilico tra la perdita e il bisogno, un monito eterno, un’icona dell’umanità che ha tradito sé stessa.




Grazie Gian Maria Tosatti:


La bellezza ferita genera visione. L’arte è la cicatrice luminosa del tempo.
( Jean-Luc Nancy)