ICÔNES. PUNTA DELLA DOGANA
2023
Recensione di Beatrice

Apre l’esposizione l’opera Ttéia 1, C, una enorme istallazione di fili d’oro tesi nello spazio che compaiono e scompaiono secondo la luce e la posizione del visitatore. Un’atmosfera surreale ideata dall’artista brasiliana Lygia Pape, fatta di raggi di luce che spiccano nell’oscurità rendono la situazione ipnotica e magnetica data la maestosità dell’istallazione e la fragilità dei fili.
Nella sala 2, troviamo la Quinta del Sordo di Philippe Parreno che scruta e rappresenta con uno sguardo voyeuristico il video delle quattordici pitture nere realizzate da Francisco Goya nella sua casa vicino Madrid tra il 1819 e il 1823. In contrasto con la brillantezza mistica delle raffigurazioni religiose, l’artista dipinge ad olio, direttamente sulle pareti immagini predominanti di nero, ocra, terra.
Il percorso suddiviso in 18 sale è accompagnato dall’opera di Joseph Kosuth, presentato in italiano, inglese e francese; è una sorta di filo di Arianna nel labirinto costituito dalla Punta della Dogana, sul quale fanno eco il dialogo tra Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre pubblicato in Adieux. Si alternano le riflessioni teoriche e personali della coppia, dubbi e dichiarazioni tra le quali il filosofo manifesta sopra ogni cosa la fede nel potere dell’arte.
Nella sala 6 David Hammons istalla un ampio lembo di tessuto nero, rarefatto e consunto sopra un grande specchio dorato, che quasi scompare sotto la precarietà seppur evidente della tela, quasi a indicare l’impossibilità di riflettersi o la reale possibilità di vedersi, finalmente. Il potere evocativo legato all’assenza e alla scomparsa in questo modo riesce ad esprimere ciò che difficilmente può essere visto o detto.
La sala 9 incontra il tempo che non misura altro che se stesso con Dayanita Singh: trentaquattro fagotti annodati, in modo diverso e con varie sfumature di rosso, fotografati per testimoniare il tempo passato e l’importanza del contenuto preservato allo sguardo mentre Danh Vo nella sua opera Untitled 2020 colloca in una valigia di alluminio semiaperta i frammenti di una scultura religiosa che ricorda le icone portate in viaggio, in guerra o in pellegrinaggio.

Sotto la torretta nella sala 14 ritroviamo La nona ora, una delle opere più iconiche di Maurizio Cattelan, dove, come nel film Habemus Papam di Nanni Moretti, il papa diviene l’incarnazione del contrasto tra potere e vulnerabilità.
Infine, seppur con una incompleta rassegna si arriva alla sala 15, nella torretta della antica dogana che ospita l’opera suggestiva e vertiginosa di Kimsooja To Breathe-Venice dove ambi specchi disposti al suolo unificano lo spazio, conferendogli al contempo una sensazione di assenza di gravità… sembra di camminare sull’acqua limpidissima, che si prolunga dalla laguna all’interno dell’edificio, consentendo la percezione di alterità tra la conflittualità di soggetto e oggetto. La polifonia di Mandala: Zone of Zero in cui si intrecciano canti tibetani, islamici e gregoriani completa questa reiterata esperienza spaziale che rende l’esperienza metafisica.
Dal 2 aprile al 26 novembre, Punta della Dogana presenta “Icônes”, una mostra collettiva, con opere provenienti in particolare dalla Pinault Collection. Una riflessione sul tema dell’icona e dello statuto dell’immagine nella contemporaneità. Il termine “icona” ha due accezioni: la sua etimologia rimanda ai concetti di “immagine” e “somiglianza”, mentre il suo utilizzo generalmente si riferisce alla pittura religiosa, che caratterizza in particolare il cristianesimo orientale. In tempi più recenti il termine è stato associato all’idea di modello, figura emblematica. L’immagine — la sua capacità di rappresentare una presenza, tra apparizione e sparizione, ombra e luce, e di generare un’emozione — è al centro di questa mostra concepita per gli spazi espositivi di Punta della Dogana e il contesto veneziano, caratterizzato da un forte legame con l’Oriente bizantino.
La mostra dedica particolare attenzione alla relazione tra la città di Venezia e l’icona. Dalla fine del Medioevo, l’arte veneziana si è formata grazie alla sintesi di influenze diverse — in particolare bizantine, gotiche e fiamminghe — che traducono il ruolo di colle-gamento tra Oriente e Occidente svolto dalla Serenissima. Ancora oggi Venezia è un incrocio in cui orizzonti molteplici si intersecano e si ibridano, fornendo così un terreno fertile per la creazione.
La città costituisce anche una fonte di ispirazione ricorrente per l’artista danese di origine vietnamita Danh Vo o James Lee Byars. Alcune opere sono profondamente radicate in questo contesto in quanto ravvivano il ricordo delle opere esposte nelle prece¬denti edizioni della Esposizione Internazionale d´Arte — La Biennale di Venezia, come la Ttéia di fili d´oro di Lygia Pape o le miniature testuali e concettuali di Joseph Kosuth nel 2007 a San Lazzaro degli Armeni di Venezia. L’arte della Russia ortodossa, attraverso la poetica del film Andrej Rublëv, dedicato al pittore di icone del XV secolo, viene analizzata da Andrej Tarkovskij attraverso la capacità delle immagini di incarnare, al di là dei secoli e delle vicis¬situdini della storia, “l’idea della libertà assoluta del potenziale spirituale dell’uomo”. L’arte dell’icona esprime secondo lui “la necessità di uno sguardo particolare su alcune questioni spirituali”, e rendere sensibile ciò che resta nell’incommensurabile oscurità di un mondo invisibile. Radicandosi nel substrato delle immagini, la poetica del regista russo rimette in gioco la questione del divenire dell’invisibile e dello spirituale in un mondo contemporaneo. La mostra rende anche sensibile l´influenza di altre spiritualità che, dall´Asia all´Africa, dal Brasile agli Stati Uniti, continuano a nutrire le opere degli artisti esposti.

La mostra intende rivelare l’essenza dell’icona come vettore del passaggio verso una possibile trascendenza, invitando ad altri stati di coscienza, contemplazione, meditazione, raccoglimento, attraverso un percorso di oltre 80 opere, tra capolavori della Pinault Collection, lavori mai esposti prima di quest’occasione e installazioni site-specificdi 30 artisti di diverse generazioni, nati tra il 1888 e il 1981. Le opere generano spazi come tante pause o “cappelle” nell’era della saturazione di immagini e della loro appropriazione indebita. Tra figurazione e astrazione, la mostra invoca tutte le dimensioni dell’immagine nel contesto artistico contemporaneo – pittura, video, suono, istallazione, performance – e stabilisce dialoghi inediti tra artisti emblematici della Pinault Collection, tra cui David Hammons e Agnes Martin, Kimsooja e Chen Zhen, Danh Vo e Rudolf Stingel, Sherrie Levine e On Kawara.
A cura di Emma Lavigne, direttrice generale della Pinault Collection, e Bruno Racine, direttore e amministratore delegato di Palazzo Grassi – Punta della Dogana