EVERYTHING PRECIOUS IS FRAGILE

Everything Precious Is Fragile
2024

Recensione di Beatrice

everything_precious_is_fragile_movie_avatar

“Everything Precious Is Fragile” è una mostra che si propone di esplorare la vasta storia del Benin approfondendo tematiche quali la tratta degli schiavi, la figura dell’Amazzone e la religione Voodoo.

Intitolata “Everything Precious Is Fragile”, la mostra ripercorrerà la ricca storia del Benin approfondendo tematiche quali la tratta degli schiavi, la figura dell’Amazzone, la spiritualità e la religione Voodoo.

Si addentrerà inoltre nella realtà contemporanea raccontando il pensiero Gèlèdé, incentrato sul concetto di rematriation: un’interpretazione femminista dell’idea di “restituzione”, non solo legata agli oggetti, ma anche riferita al ritorno alla filosofia e agli ideali di questa terra antecedenti all’epoca coloniale.

Azu NWAGBOGU

Curatore del Padiglione del Benin

“Everything Precious is Fragile” rivela una profonda esplorazione delle tradizioni Gèlèdé del popolo Yoruba, intrecciata con le ombre latenti degli eventi globali contemporanei e la questione dilagante dell’ingiustizia epistemica. Questa proposta curatoriale risponde al delicato scenario mondiale, segnato non solo da sfide ecologiche, conflitti e crescenti disuguaglianze sociali ed economiche, ma anche dall’emarginazione sistemica di sistemi di conoscenza diversi e indigeni. In uno sforzo di collaborazione con i governanti tradizionali del Benin, i custodi culturali della conoscenza, dell’arte e dell’enigmatico, il concept curatoriale del padiglione riconosce le ingiustizie epistemiche, storiche e attuali, che i sistemi di conoscenza indigeni devono affrontare, e la negazione delle voci femministe. Questa proposta accoglie la fragilità con grande rispetto, riconoscendo l’esistenza precaria di culture, sapienze e forme di conoscenza di fronte all’abbandono e al rifiuto del sistema. In questa narrazione aggiornata, la filosofia Gèlèdé svela dimensioni ecologiche, socio-politiche e culturali, elevando al contempo la sua funzione vitale nell’istruzione e nello stile di vita. La mostra celebra esplicitamente la rinascita della saggezza indigena, evidenziando il ruolo vitale delle voci storicamente emarginate, in particolare delle donne, nella produzione della conoscenza. Gli artisti Hazoumè, Quenum, Akpo e Bello sono stati selezionati non solo per la loro abilità artistica individuale, ma anche per il modo unico in cui le loro opere e metodologie si completano a vicenda, trasformando la mostra in un’essenziale presentazione personale – Everything Precious Is Fragile – di quattro artisti.

Image 1

Questi artisti incarnano l’ethos del Benin, sostenendo la rigenerazione e la[re]matriation–il ritorno all’abbraccio accogliente della madre–e al contempo sfidando le gerarchie che hanno messo a tacere le diverse voci. La mostra, allestita all’Arsenale di Venezia, consente di presentare idee in Europa secondo i termini dettati dagli artisti e non come sono state considerate in passato in seguito alla conquista. La mostra attinge ampiamente all’eredità storica del Benin e alla recente restituzione di manufatti culturali, integrando intenzionalmente narrazioni che affrontano la violenza della destituzione e della cancellazione insita nelle storie di questi oggetti.

Mentre attraversiamo le complessità del nostro mondo contemporaneo, segnato da squilibri sistemici, la mostra immagina un futuro accogliente capace di sfidare attivamente le percezioni dominanti di fragilità e forza nel quadro della giustizia epistemica.

All’interno del padiglione del Benin, una “library of defiance” esplora l’immenso contributo delle donne, nel corso della storia, affrontando le questioni più urgenti dei nostri giorni, come la perdita di biodiversità, l’identità, l’ecologia, la scienza, le conoscenze indigene, le storie dei Neri, la rappresentazione, ma anche domande urgenti su verità eterne e valori intramontabili. La mostra diventa quindi uno spazio di riflessione critica, in cui i quattro artisti cantano la stessa melodia ma con toni complementari e armonizzati.

CONCEPTCURATORIALE

All’inizio del nostro percorso curatoriale, il Comitato organizzatore ha condiviso con noi quattro temi: la spiritualità, il Voodoo,la figura dell’Amazzone, la tratta degli schiavi. Il nostro approcci o è stato quello di trovare un filo conduttore che unisse queste tematiche, affinché gli artisti potessero sviluppare proposte artistiche forti. Con il supporto di una ricerca durata diverse settimane e condotta da un valido team di studiosi, abbiamo definito il nostro principio guida: il femminismo africano, e nello specifico beninese.

Image 2

Partendo dal concetto di spiritualità beninese, abbiamo pensato alle maschere Gèlèdé, simbolo del potere spirituale delle donne nella nostra società tradizionale. In seguito è arrivato il Voodoo, la religione principale dei nostri antenati; abbiamo considerato quanto la sua espressione rivendichi il ruolo centrale della figura materna. Nel primo, innovativo Voodoo le donne sono viste come dee, sacerdotesse, devote.

La figura dell’Amazzone rimanda al potere politico delle donne: il mito di Abomey è stato creato da una regina, Tassi Hangbè.

Il leggendario esercito sui campi di battaglia sfida tutti gli stereotipi che attribuiscono alle donne ruoli secondari. Per concludere la nostra ricerca, abbiamo esaminato il fenomeno della tratta degli schiavi e abbiamo constatato la presenza di potenti figure femminili che hanno resistito all’ingiustizia e lottato per proteggere gli altri. Ciò che chiamiamo “femminismo africano ”sta a identificare il ruolo rilevante–seppur vulnerabile–che le donne hanno assunto nelle nostre società dall’antichità fino ai giorni nostri, nella quotidianità del mondo contemporaneo. Il femminismo africano costituisce un passato che gli artisti hanno il dovere di recuperare, un presente da elevare e un futuro che vogliono contribuire a creare. Per quanto riguarda il passato, possono ispirarsi alla filosofia Gèlèdé come narrazione delle origini del nostro femminismo. Per il presente, possono rifarsi alle battaglie, alle lotte e alle resistenze che le nostre figlie, madri e donne portano avanti oggi nelle nostre città, nelle nostre case e nelle nostre aziende. Quanto al futuro, potrebbero sorprenderci, poiché la sfera delle possibilità è così vasta che, alla fine del percorso, il femminismo non sarà più relegato a una categoria, bensì a ciò che dovrebbe essere: un umanesimo universale.